A marzo l’indice di disagio sociale sale a 20,5 (+3,2 punti su febbraio), tornando ai livelli di ottobre 2017. Lo rileva il Misery Index di Confcommercio, sottolineando che l’aumento riflette principalmente le difficoltà nel mondo del lavoro. L’indicatore – anche nella formulazione attuale che sottostima la disoccupazione estesa in considerazione dell’impossibilità di enucleare il numero di scoraggiati e sottoccupati – si conferma su livelli storicamente elevati e consolida la tendenza al peggioramento. In linea con quanto registrato negli ultimi mesi, l’ampliamento dell’area del disagio sociale continua ad essere determinato esclusivamente dalla componente inflazionistica. Il permanere di una dinamica dei prezzi sostenuta rischia di limitare, nei prossimi mesi, le possibilità di recupero dell’economia interrompendo il processo di graduale miglioramento del mercato del lavoro: ne conseguirebbe l’estensione dell’area del disagio sociale.
Anche a marzo 2022 il tasso di disoccupazione ufficiale è risultato in ridimensionamento (8,3% a fronte dell’8,5% di febbraio). Il dato è sintesi di una crescita degli occupati (+81mila unità su febbraio) e di una riduzione del numero di persone in cerca di lavoro (-48mila unità in termini congiunturali).
A questa evoluzione si è associata anche una diminuzione degli inattivi (-72mila unità su febbraio), favorendo l’ulteriore innalzamento del tasso di attività. Nello stesso mese le ore autorizzate di Cassa Integrazione Guadagni sono state 48,8 milioni, a cui si sommano oltre 7 milioni di ore per assegni erogati dai fondi di solidarietà. In termini di ore di CIG effettivamente utilizzate, destagionalizzate e ricondotte a ULA, si stima che questo corrisponda a 112mila unità lavorative standard. Il combinarsi di queste dinamiche ha determinato un tasso di disoccupazione esteso pari al 9,4%.
Anche a marzo i prezzi dei beni e dei servizi ad alta frequenza d’acquisto hanno mostrato un’accelerazione, con una crescita al 6,5% tendenziale. Il permanere di una dinamica espansiva dei prezzi, soprattutto per quei beni e servizi che le famiglie acquistano con maggior frequenza e ai quali è difficile rinunciare, sono inevitabilmente destinate a modificare in negativo i comportamenti d’acquisto delle famiglie.