Il problema delle criptovalute è sicuramente un aspetto delicato della Cybersicurezza. Che tipo di regolamentazione serve e a che livello?
Sicuramente a livello Europeo, dove già qualcosa c’è stato. Non siamo all’anno zero. Ovviamente queste iniziative normative più sono condivise, più sono efficaci, perché il mondo cyber è un mondo che ha sbriciolato ogni tipo di frontiera e di confine, quindi l’arma nazionale può non essere completamente efficace a gestire fenomeni che per la loro natura intrinseca non sono nazionali.
Lei spesso sottolinea la necessità della sovranità nazionale sulla tecnologia che garantisce poi la Cybersicurezza. A che punto siamo in Italia?
Uno dei compiti per i quali è nata l’Agenzia per la Cybersicurezza è proprio stimolare l’autonomia tecnologica. È un percorso, un’attività ‘in progress’, una strada da intraprendere, un orizzonte da inseguire. L’autonomia tecnologica è un dato importante per quanto riguarda la sicurezza di un Paese. Ci vuole un’autonomia europea e in seconda battuta una nazionale: si tratta di un’operazione complessa.
Uno dei temi cruciali posti anche dalla guerra è quello della sicurezza europea. Si parla di forze armate comuni e di difesa comune. di esercito, di forze armate Europee e di difesa comune. Si può immaginare una Cybersicurezza comune a livello europeo?
Perché no? Sicuramente una forte collaborazione tra vari Stati c’è già e credo che questa collaborazione vada sempre più rafforzata. Deve essere estesa a quanti più attori possibili e se ci fosse una strutturazione comune è una riflessione utile che andrebbe fatta.