L’Italia dello sport si stringe attorno all’Ucraina e ai suoi atleti. Dall’inizio dell’invasione russa, il CONI e le Federazioni Sportive Nazionali sono scesi in campo per aiutare e supportare gli atleti ucraini per le inevitabili ripercussioni che conflitto sta avendo nello sport. A far ancora più rumore sono le parole rilasciate dal Presidente del Comitato Olimpico Nazionale Ucraino, Sergey Bubka, riferite dal presidente del CONI Giovanni Malagò: “Giovanni i russi non li sentiamo più”.
“Che colpa ha un atleta russo in carrozzina, che si allena da quattro anni per le Paralimpiadi? Nessuna – è la considerazione del presidente del Coni -. La pensava così anche il board dell’International Paralympic Committee, quando ha deciso di far disputare i giochi a guerra iniziata. Però, cosa è successo? Che gli altri, e non certo solo gli ucraini, si sono rifiutati. Fate gareggiare loro? hanno detto. Noi torniamo a casa. Volevano che i russi prendessero posizione contro l’invasione”. Malagò si definisce “uno che lo sport lo sente scorrere dentro, come il sangue, da sempre. Tu arrivi a Pechino e pensi ancora che la tregua olimpica sia uno dei capisaldi del nostro mondo.
Putin sta lì e puoi ancora pensare che il quadretto stia in piedi. Invece lui saluta, torna a casa, e attacca. Attacca mentre i paralimpici scaldano i muscoli! Mi chiedo che cosa possa fare lo sport dentro un mondo così”. La Federbasket ha preso posizione da tempo e ha annunciato che gli azzurri non giocheranno contro la Russia. “Non so come fermare quest’orrore, ma so che non posso fare finta che niente sia accaduto. E so da che parte stare. Con Gianni Petrucci, che ha detto forte e chiaro: l’Italia non gioca, e con gli atleti ucraini. Quelli che si allenano da noi per qualificare alle Olimpiadi un Paese che rischia di scomparire. E quelli che sono rimasti a combattere. Tanti di più. Lo sport e la guerra sono agli antipodi. Uno è l’acme della civiltà. L’altra il fondo della barbarie”.
Per Malagò il mondo dello sport è compatto di fronte alla guerra. “Abbiamo meno minoranze rumorose e più chiarezza delle regole, scritte e non. La democrazia nello sport è una continua forma di autodeterminazione. È il segno di un’identità. Un’identità non la stanchi. L’identità ucraina nello sport può sopravvivere dopo una guerra così? Deve riuscirci. Per questo l’80% dei loro atleti olimpici è in Italia. Accoglierli è stato il nostro orgoglio. Li abbiamo dichiarati tesserabili come cittadini. Spero che abbiano la testa, oltre che il corpo, per qualificarsi a Parigi”.