Il governo tenta di uscire vivo sia dalle trappole in cui si è cacciato per la gestione confusionaria della vicenda Arcelor Mittal, sia dalle improvvisazioni fiscali nella manovra finanziaria.
La bomba lanciata dal gruppo siderurgico di restituire la gestione degli stabilimenti, non solo di Taranto, ha intanto messo a nudo una incapacità strutturale del governo a decidere e ad assumere iniziative condivise, ha aperto una frattura profonda sulle organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali e ha posto in ulteriore evidenza l’immaturità, l’impreparazione e, purtroppo, anche l’arroganza di esponenti non secondari del Movimento 5 Stelle.
Ne sta uscendo ridimensionato e talvolta umiliato, il ruolo dello stesso Presidente del Consiglio, diventato non più credibile nel rivendicare la determinazione del suo governo che, oggi come oggi, appare al punto più basso di apprezzamento dell’opinione pubblica.
Nella maggioranza, sta diventando patetico il ruolo del partito democratico precipitato nella crisi dell’Ilva per i tortuosi ripensamenti in cui l’ha costretto il m5s e incalzato, da una parte dai guastatori di quel partito e costretto, dall’altra, a subire l’iniziativa del nuovo partito di Renzi.
Certo è che, almeno per ora, sembra disastrosamente fallito il disegno di ridimensionare la Lega, mentre nuovo spazi sembrano aprirsi per un riassetto di un’area in cui trovi posto l’opinione pubblica moderata e riformista.
Guardando agli scenari futuri, sperando che la questiona Taranto evolva positivamente, resta prioritario il problema di evitare, con una strategia a tutto campo, il collasso economico e sociale del Mezzogiorno: un dovere che riguarda però anche, in generale, la classe politica dello stesso territorio.