Il presidente Conte aveva appena dichiarato per l’ennesima volta che “se riparte il Sud, riparte l’Italia” che proprio al Sud esplodeva la bomba della decisione del gruppo siderurgico “Arcelor Mittel” di rinunciare alla gestione dell’ex Ilva di Taranto e, sempre sul Sud, lo Svimez comunicava che nell’ultimo ventennio 2 milioni di persone, soprattutto giovani, hanno abbandonato quei territori e che, stando così le cose, si potrebbe prevedere un esodo biblico di 5 milioni.
Ormai le belle parole, anche se riprendono concetti illuminati che furono alla base delle politiche, quelle vere, per il mezzogiorno di 60 anni fa non servono più a macerare il drammatico vuoto di qualità della politica del quale sta precipitando una parte così importante del territorio e dell’identità nazionali dove la passione, la creatività, l’impegno civile sono stati sostituiti da un’orgia di borbottii demagogici, talvolta paranoici, da pulsioni clientelari o dalla prefigurazione di impossibili palingenesi nel segno di un ambientalismo talebano.
Del resto che a Taranto le cose potessero mettersi al peggio lo si sapeva da quado gli esponenti del Movimento 5 stelle avevano imposto l’abbandono delle riserve di garanzia, chieste e date a suo tempo al gruppo Arcelor Mittel, snobbato le preoccupazioni del sindacato e reso sempre più precaria la prospettiva di un rilancio industriale che si muovesse in parallelo alla riduzione di ogni rischio di inquinamento.
Gli ultimi governi non hanno fatto nulla per invertire questo corso delle cose, hanno solo chiuso gli occhi sperando che il problema si risolvesse da solo, forse contando sulla interessata benevolenza dei cinesi.
Al Senato c’è chi si accapiglia su aspetti controversi della manovra economica, ma intanto il Sud sprofonda e arretra verso una condizione indegna della dignità e della storia del nostro paese.