Sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della ricerca e diffondere conoscenza sul Parkinson. Sono questi gli obiettivi della Giornata Mondiale del Parkinson(“World Parkinson‘s Day”), in programma 11 prossimo aprile. In funzione dei numeri in aumento delle patologie neurodegenerative e dell’invecchiamento della popolazione, Fondazione Humanitas per la Ricerca è impegnata in nuovi progetti volti a ‘scoprire’ caratteristiche peculiari e differenzianti della malattia su cui sviluppare terapie ‘di precisione’ e personalizzate. I progetti Fondazione Humanitas per la Ricerca si inseriscono in un ‘contenitore’ più ampio: Argento Vivo, una iniziativa pensata per gli over 65, la “silver generation” su cui occorre fare più educazione alla prevenzione e avviare specifici progetti di ricerca, oggi ancora limitati. Fra quelli di maggior interesse, vi sono studi sul Parkinson, condotti dal team del Professor Alberto Albanese, responsabile Neurologia dell’Istituto Clinico Humanitas e docente Humanitas University. “Oggi – spiega il professor Albanese – non è più possibile approcciare la malattia di Parkinson nel suo complesso, occorre arrivare a identificare i diversi sottotipi sui quali ‘costruire’ azioni di prevenzione e terapie mirate.
Per arrivare a questo obiettivo stiamo studiando i possibili geni coinvolti, riuscendo a identificare ‘geni forti’, cioè deterministici, che con molta probabilità potranno portare allo sviluppo di malattia in chi ne è portatore, e geni più ‘deboli’, probabilistici, che espongono la persona portatrice del gene mutato a un maggior rischio, non alla certezza, di comparsa della malattia. In questo secondo caso, giocano un ruolo importante l’eventuale presenza di fattori ambientali predisponenti, come l’esposizione a tossine esogene (pesticidi, metalli, prodotti chimici industriali) e lo stile di vita (dieta e fumo), in grado di sommarsi ai fattori genetici”. La malattia di Parkinson è oggi meritevole di attenzione anche in funzione a nuovi evidenze che fanno osservare un incremento di forme giovani, con esordio fra 21 e 40 anni: un evento non più così raro, negli ultimi 60 anni si è passati da una frequenza dell’1% a punte di oltre il 18%, con media generale del 5% circa.
La grande sfida della ricerca è arrivare a identificare soggetti a rischio, nei quali la malattia non si è ancora presentata, per mettere a punto programmi di prevenzione (screening) e ritardarne l’insorgenza; in parallelo, sviluppare terapie “Disease Modifying” che agiscono cioè sulla progressione della patologia, con modalità e tempi indubbiamente varabili da individuo a individuo e da malattia a malattia.
“Nella consapevolezza che non sarà subito possibile bloccare tutte le differenti patologie – chiarisce Albanese – l’obiettivo è oggi di agire sui meccanismi che ne determinano l’insorgenza, in particolare quelli comuni alle diverse malattie neurodegenerative, e rallentarne l’evoluzione”. Occorre inoltre intraprendere azioni di ‘empowerment’ del paziente, educandolo cioè all’assunzione di comportamenti virtuosi che possono prevenire lo sviluppo delle malattie neurodegenerative: tra questi la conduzione di una vita attiva e di uno stile alimentare pro-sistema nervoso: “La dieta – conclude Albanese – dovrebbe apportare verdure, soprattutto a foglia verde, frutta, cereali integrali, legumi, frutta secca in particolare noci che hanno il rapporto migliore tra omega3 e omega 6, pesce, carne bianca, uova e olio extravergine di oliva: tutti alimenti con possibile effetto neuroprotettivo. Molti di questi alimenti, in particolare verdure, frutta e cereali integrali, contengono polifenoli, potenti attivatori dei geni umani, coinvolti nella sintesi di enzimi antiossidanti, nella modulazione dei percorsi antiinfiammatori e nell’accensione dei geni antinvecchiamento, oltre ad essere fattori chiave nel mantenimento di un sano microbiota intestinale, poiché è ormai mota la stretta relazione intestino-cervello”.(ITALPRESS).