L’intera filiera agroalimentare nazionale ha garantito cibo di qualità e prezzi ragionevoli agli italiani durante tutta la pandemia, nonostante i leciti timori e le difficoltà. Ora, dopo un biennio di Covid che ci stiamo faticosamente lasciando alle spalle, il comparto primario è vittima di una ‘tempesta perfetta’. Ogni mese del 2022 ha visto aggravare la situazione: ci siamo lasciati a fine gennaio quando abbiamo affrontato, su queste pagine, i possibili strumenti da mettere in campo, nel breve e nel lungo periodo, per fronteggiare il caro energia scoppiato a inizio anno. A ciò si è aggiunto nelle regioni del Nord-Ovest il ritrovamento di cinghiali con la Peste Suina Africana, grave minaccia per l’intera filiera suinicola nazionale. Infine, la crisi causata dall’invasione russa in territorio ucraino che ha generato una escalation nell’aumento dei costi e una spirale di speculazioni sui mercati internazionali.
L’analisi del CREA
Ad analizzare l’impatto della guerra in corso sulla filiera agroalimentare italiana è stato il CREA Politiche e Bioeconomia che ha stimato un aumento medio per impresa di 15.700 euro. Sei le voci di costo più rilevanti: fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi e piantine, prodotti fitosanitari e noleggi passivi. Ad essere penalizzati in misura maggiore sono stati i seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura per effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti, a seguire l’allevamento di bovini da latte, le colture arboree e la zootecnia estensiva. A livello medio, ‘aumento è stimato al 54%, con un effetto più rilevante per le aziende marginali. L’allarme lanciato dal centro di ricerca del Ministero delle Politiche agricole è che la congiuntura scaturita dall’attuale crisi internazionale rischia, di fatto, di determinare in un’azienda agricola su dieci (11%) l’incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a portare a termine le proprie produzioni, provocandone pertanto la chiusura. Prima della crisi, la percentuale era del tutto irrilevante pari a circa l’1%. Il reddito netto negativo coinvolge ora il 30% delle aziende, quando prima era appena il 7%. L’aumento ha coinvolto anche i prezzi al consumo: dal petrolio salito del 25% al prezzo del grano che è balzato del 53% con effetti a valanga su famiglie e imprese. Una situazione incontrollabile che ha portato, a più riprese, al blocco degli autotrasportatori nonché ai trattori in piazze nelle manifestazioni delle associazioni agricole, dalla Liguria alla Basilicata passando per la Sardegna e poi in tante altre regioni da Nord a Sud. Sino a eventi più eclatanti dove non si è celata l’esasperazione che sta vivendo quello stesso comparto agroalimentare, dal campo allo scaffale, che non ci ha mai fatto mancare nulla durante la pandemia e che merita attenzione e un doveroso sostegno concreto.
La risposta di Bruxelles
L’Unione europea ha risposto in maniera celera ma in un modo forse poco incisivo. La riserva anticrisi della Politica Agricola Comune (PAC), pari a 500 milioni di euro, è stata immediatamente sbloccata ma si tratta di un fondo alimentato da un prelievo sugli aiuti diretti con risorse, dunque, non aggiuntive. L’Italia potrà così contare su circa 48 milioni di euro che potranno essere cofinanziati al 200%. Un’ulteriore decisione del ‘Pacchetto Ucraina’ approvato dall’Agrifish prevede per l’Italia la possibilità di coltivare su 200mila ettari che, per vincoli ambientali, sono destinati all’inutilizzo. Una decisione che, però, salvo successivi cambiamenti, non verrà applicata alle semine invernali dei cereali come il grano duro e tenero, che nel nostro Paese avvengono a novembre, ma solamente su soia e mais. Un’ultima misura è quella relativa allo stoccaggio privato per le carni suine, a costo zero per le casse di Bruxelles.
Le misure del Governo italiano
La risposta dell’Esecutivo Draghi è, invece, nel Dl Ucraina. Alle imprese agricole e della pesca (la quale ha beneficiato di uno stanziamento ad hoc sul fondo filiere di 20 milioni di euro per il caro-carburante) è riconosciuto un credito d’imposta (cedibile) del 20% sulla spesa per carburanti nel primo trimestre 2022 nonché per l’acquisto di gas naturale nel periodo 1° aprile – 30 giugno a cui si aggiunge una misura simile per l’acquisto di energia elettrica del 12% e, infine, la rateizzazione sino a 24 mesi delle bollette energetiche. Il fondo per lo sviluppo e il sostegno delle filiere viene incrementato, poi, di ulteriori 35 milioni di euro. Per sopperire alla mancanza di fertilizzanti chimici viene permesso l’impiego del digestato equiparato. Infine, gli interventi finanziari che si limitano, però, alla possibilità di rinegoziare e ristrutturare i mutui in essere e allungando sino a 25 anni il relativo periodo residuo di rimborso con Ismea che potrà concedere una garanzia gratuita a favore degli agricoltori e pescatori.
Un decreto Emergenze Agricole
Gli sforzi sinora compiuti per il comparto primario sono, però, evidentemente insufficienti e l’auspicio è che il Governo emani un decreto ad hoc così da inserire tutte quelle misure necessarie ai diversi settori per fronteggiare questa emergenza senza precedenti, rimanendo nel solco di quella transizione ecologica che l’agricoltura italiana sta già interpretando da protagonista e che deve essere reinterpretata nell’obiettivo di una maggiore autonomia produttiva nazionale. In quest’ottica, cruciale è l’avvio della sperimentazione in campo sulle TEA, le Tecniche di Evoluzione Assistita, e il puntare sulle altre tecnologie innovative, sostenendo le imprese nel frattempo con una moratoria dei mutui, la decontribuzione previdenziale, un contributo sui fertilizzanti e prestiti a garanzia gratuita pubblica di 18-24 mesi per superare la crisi di liquidità. Interventi che saranno sicuramente implementati dal confronto parlamentare e con i diversi stakeholder.
*Giuseppe L’Abbate, deputato della Commissione Agricoltura di Montecitorio dal 2013,
già Sottosegretario presso il Ministero delle Politiche Agricole del Governo Conte II