Drammatici questi giorni di un guerra che non vuole finire: o che, forse, qualcuno non vuole che abbia termine; un incendio tenuto vivo accanto ad una santabarbara che potrebbe esplodere con effetti distruttivi che nessuno è in grado di prevedere.
Guerra alla quale stiamo assistendo in diretta tv dalla poltrona di casa, magari con una coperta sulle gambe perché abbiamo abbassato di due gradi il riscaldamento nelle nostre caldissime case, a causa dell’aumento del gas. Sembrandoci già questo un sacrificio grave, da “tempi di guerra” appunto.
O facendoci cogliere dal raptus dello psicodramma collettivo (che già ci aveva presi nel marzo 2020, all’inizio della pandemia da Covid), facendoci svuotare gli scaffali dei supermercati.
Cioè lontanissimi dai sacrifici e dalla tragedia della guerra vera. Quelli intorno alla mia età – i figli del dopoguerra, quindi – non esattamente inquadrando le vicende dei propri genitori; quelli più giovani forse avendo una vaga idea di un nonno o di un bisnonno che aveva combattuto, che era stato preso prigioniero, che era stato ferito; o di prozii uccisi.
Assistiamo così alla guerra, accettando come effetto naturale la sostituzione nei talk show dei loquaci virologi e epidemiologi, con generali ed esperti a vario titolo di cose belliche altrettanto pronti a trasformarsi in telecronisti della diretta tv sul conflitto.
Un tanto parlare, dove si dice tutto e il contrario di tutto (esattamente come col Covid), che mi fa tornare in mente le parole di mia Mamma Rosetta – che colloco ancora oggi al primo posto tra le tantissime persone intelligenti incontrate nella vita -, allorché la televisione cominciò ad essere ad orario continuo, 24 ore su 24, e multi-canale: «ci riempiranno di fesserie; inevitabile se devono parlare così tanto, giorno e notte».
Ma un tanto parlare che – al di là del ricordo che ho voluto dedicare a mia Madre nel ventennale della sua morte – rende fertile il terreno della manipolazione.
Di quella particolare tecnica psicologica – oggi sia pure non ufficialmente assurta a scienza (ma cercate saggi sulla manipolazione su internet: ne troverete migliaia), differente dalla persuasione (che è lecita) – che, volendo determinare una influenza sociale, offre la percezione di fatti realmente accaduti o inventati, in maniera finalizzata a indurre un certo comportamento nei destinatari, mediante l’utilizzo di schemi e metodi subdoli e ingannevoli, ovviamente per ottenere il proprio interesse o il consenso sociale a determinate scelte o per particolari fini.
Una tecnica che ci fa subire un grave abuso psicologico, senza possibilità di rendercene conto, se non a verità svelata. La manipolazione è oggi favorita dai social e dalla mancanza di privacy: che è finita nel momento stesso in cui si è introdotta una legge per tutelarla.
Tutti sanno tutto di tutti; ci sono banche dati che registrano qualsiasi dato sulle persone, affidandolo poi a logaritmi. Il risultato non è solamente commerciale, nel senso che il produttore di cioccolato fondente sa che troverà in me un ghiotto cliente, ma è soprattutto sociale. La risposto che ricevo quando tramite un motore di ricerca chiedo notizie su alcune tipologie di argomenti è diversa da quella che riceverà una persona dal differente sentire politico e sociale. Provare per credere.
Tramite internet, quindi, mi vengono date ed inviate indicazioni in linea col mio sentire, per darmi l’illusione che mi trovo su un terreno favorevole, giusto. Così che la manipolazione, la falsa informazione finalizzata a farmi assumere un certo atteggiamento, risulterà affidabile.
Risponde proprio ad un manuale di manipolazione la grande manifestazione popolare voluta da Putin a Mosca, un rinforzo positivo della sua immagine, al quale seguiranno dimostrazioni di forza.
Tecniche di manipolazione che non sono ovviamente esclusiva russa, ma sono ben note anche ai governi occidentali. Così che occorre essere molto cauti nell’accogliere le notizie che ci vengono date su temi in cui si chiede un consenso popolare, filtrarle, verificarle e soprattutto dubitare.
Le notizie, certe notizie, determinano reazioni, quale, ad esempio, quella sopra riportata degli scaffali vuoti: che forse sono una prova per verificare l’efficacia manipolativa di alcuni fatti.
Ma più incisivamente certe notizie hanno reazioni di borsa: le oscillazioni dei listini in questi venti giorni di guerra hanno determinato arricchimenti che in altri tempi avrebbero richiesto anni.
Credo che l’induzione di uno psicodramma popolare sia uno degli effetti voluti dal manipolatore, che ha successo quando determina un conformismo culturale dal quale è bene fuggire: specie se chi non si adegua viene spregiativamente definito negazionista.
Guardate i dati mondiali sul Covid: ciascun Paese ha dati conformi con la profilassi seguita; cioè hanno avuto ragione sia i governi che hanno adottato cautele, sia quelli che hanno ignorato il problema. Io, trivaccinato e rispettoso delle regole (ma avrei preferito meno imposizioni e più responsabilizzazione dei cittadini), credo che dovremo attendere anni per dati reali e uniformi.
Mi rendo conto con le mie considerazioni sui governi occidentali che la mia posizione sulla guerra potrebbe essere travisata. Così che ribadisco il mio opinabile pensiero: la Russia è l’invasore di un paese sovrano; nessuna ragione può giustificare il suo gesto di forza; l’Ucraina ha il diritto di difendersi; l’Occidente ha il dovere di aiutarla nella difesa della sua integrità sostanziale e dei valori comuni di libertà e pace cui quella gente aspira.
Pace, Pace, Pace, cui anche il sottoscritto cittadino aspira.