domenica, 17 Novembre, 2024
Sport e Fair Play

La lealtà sportiva un valore da tutelare

Il Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, con pronuncia n. 1/2016 della Sezione Consultiva, ha affermato che la potestà disciplinare nei confronti di “tesserati, affiliati e degli altri soggetti secondo le norme di ciascuna Federazione” (art. 44, comma 1, CGS del CONI), rappresenta un mezzo importante e imparziale di autoregolamentazione interna delle condotte patologiche che si realizzano nel “micro-ordinamento” di appartenenza, in presenza di condotte senz’altro ostative al corretto raggiungimento dei fini istituzionali dell’Ente. La condotta non conforme a siffatte regole, fermo restando le eventuali concorrenti responsabilità “generali” (penale, civile, amministrativa, artt. 49 e 56 CGS), origina reazioni interne, espressive della potestà disciplinare.

La funzione che persegue la sanzione disciplinare è, in quest’ottica, quella di prevenire, dissuadere e, nel contempo, sanzionare dall’interno, violazioni di regole che rappresentano i pilastri su cui si fonda l’ordinamento sportivo. Né la violazione di siffatte regole di condotta interessa esclusivamente l’ordinamento di appartenenza; la Giustizia Sportiva Disciplinare, infatti, è diretta all’accertamento e alla sanzione dei comportamenti posti in essere in violazione dei precetti e dei regolamenti Federali e, almeno in linea di principio, anch’essa rientrerebbe nell’area di «irrilevanza» per l’ordinamento dello Stato. Tale irrilevanza trova, tuttavia, una eccezione data dalla sussistenza di una lesione di posizioni soggettive rilevanti (diritti soggettivi e/o interessi legittimi, seppur nel limite dell’azione risarcitoria per equivalente).

La Giustizia Sportiva Disciplinare è costituita dall’insieme dei procedimenti che attengono alle condotte, omissive o commissive, tali da configurare la violazione dei precetti dell’ordinamento sportivo e da determinare sanzioni di carattere disciplinare. Le sanzioni possono raggiungere – alternativamente e/o cumulativamente per i medesimi fatti – affiliati e/o tesserati e sono normalmente commisurate alla gravità dei comportamenti. Il suo fine è, sostanzialmente, quello di salvaguardare e conservare i valori fondamentali dell’ordinamento sportivo e lo fa attraverso alcune norme che descrivono in dettaglio i comportamenti da osservare e ne sanzionano la violazione, e altre norme che si limitano a descrivere solo il comportamento dovuto.

La Giustizia Sportiva Disciplinare si ispira al canone dalla «atipicità» e, sotto tale profilo, assume particolare rilevanza la prescrizione di osservanza del dovere di «lealtà sportiva», che viene di volta in volta riferito a una condotta specifica. Vi è chi sostiene che tale «atipicità» arrivi a violare il principio costituzionale di legalità formale (nullum crimen, nulla poena sine lege), per la genericità descrittiva di molti precetti dell’ordinamento sportivo. Su tale tema si è pronunciato anche il Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, con due decisioni che hanno valorizzato una affinità fra il procedimento disciplinare e il procedimento penale, al fine di richiamare l’applicazione, in particolare, del principio c.d. di legalità formale, nell’ottica di una maggiore attenzione alle garanzie difensive dell’imputato.

Nello specifico, il Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI ha avuto modo di affermare come, spesso, «deve ritenersi applicabile al contesto sportivo anche talun principio penalistico generale (cfr. Collegio di Garanzia, decisione n. 15/2017), che trova ingresso a favore dell’incolpato, anche in ambito civilistico, grazie all’apertura avutasi con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sezioni Unite., 29/07/2016, n. 15819)». «Ed ecco il perché, nell’approcciare le condotte violative delle regole, non bisogna discostarsi in maniera superficiale dalle specifiche previsioni normative in corretta applicazione del principio generale penalistico (ma, per quanto innanzi affermato, applicabile anche al giudizio civile e, per tale via, anche al giudizio sportivo in forza del richiamo di cui al ricordato articolo 2, comma 6, del CGS CONI) del nullum crimen, nulla poena sine lege…principio c.d. di legalità formale, nonché per quanto previsto dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, per il quale “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”».

La responsabilità nell’esercizio dell’attività sportiva deve, innanzitutto, essere collocata nell’ambito del fenomeno sportivo, ossia di un’attività che viene riconosciuta e tutelata dall’ordinamento giuridico dello Stato. L’esimente sportiva si basa sul principio consolidato secondo cui “nessuno può essere considerato colpevole di un evento dannoso qualora questo evento sia conseguenza di una azione che è conforme alle regole dello sport di riferimento”.

L’attività sportiva è un’attività tutelata e garantita dall’ordinamento giuridico dello Stato, per cui, nei limiti in cui un soggetto la eserciti con scrupolo, non è corretto che lo stesso possa, poi, essere ritenuto colpevole di un evento che si realizza in conseguenza di una sua azione; ne deriva che, nonostante concretamente si possa verificare un fatto che corrisponde ad una tipologia di comportamento punibile, lo stesso non lo si considera tale perché coperto da una causa di giustificazione, secondo la quale un comportamento non può, allo stesso tempo, essere consentito e vietato, ma, si intende, nei limiti in cui l’evento dannoso sia comunque conseguenza di una legittima condotta di gioco e non il frutto di una scorrettezza ovvero di una azione non consentita.

Se così non fosse, ossia se il soggetto agente dovesse subire le conseguenze di una sua azione, seppur conforme alle regole del gioco, potremmo assistere ad una paralisi dell’attività sportiva.

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