La data dell’8 febbraio 2022 è una di quelle destinate a segnare la storia politica del nostro Paese. Con 468 voti favorevoli la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge di iniziativa parlamentare che ha introdotto un’espressa tutela dell’ambiente in Costituzione. L’iter parlamentare è degno di nota, soprattutto in un momento storico in cui, all’indomani della rielezione del Presidente della Repubblica, la politica attraversa una fase di “profonda riflessione”. Il raggiungimento del quorum dei due terzi nella seconda deliberazione, così come del resto era già avvenuto in Senato a novembre dello scorso anno, quando il testo aveva ottenuto il via libera di entrambi i rami del Parlamento in prima deliberazione nel testo unificato, è un segnale importante che va ben oltre le aspettative degli ambientalisti e che merita attenzione.
La legge di revisione costituzionale, in virtù dell’ampia maggioranza di consensi (uno solo il voto contrario) entrerà in vigore, infatti, già dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale come previsto dall’art. 138 Cost. senza bisogno di un eventuale referendum confermativo. L’introduzione della tutela ambientale nella nostra Carta fondamentale è un passo urgente ed ormai non più rinviabile soprattutto se volgiamo lo sguardo al panorama europeo in cui l’Italia è stata sempre di rincorsa per stare al passo di Paesi molto più virtuosi in materia ambientale. Basti pensare agli sforzi della Corte costituzionale per sopperire all’inerzia del legislatore sin dalla definizione di ambiente e della sua ampiezza. Ricordiamo, ad esempio, che solo con la riforma del 2001 l’ambiente è stato espressamente menzionato nella Costituzione ed unicamente con riferimento al riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. Così come solo nel 2015 il nostro ordinamento ha introdotto i reati ambientali nel codice penale modificando così il quadro normativo previgente che affidava in modo quasi esclusivo la tutela dell’ambiente a contravvenzioni e sanzioni amministrative, previste dal Codice dell’ambiente.
Il mio pensiero oggi va proprio a quel passaggio normativo importante del 2015, a quante volte, a distanza di qualche anno, ci siamo ritrovati a discutere della reale portata della riforma penale alla prova dell’efficacia concreta contro i gravi crimini contro l’ambiente, abbiamo sottolineato le difficoltà intrinseche dell’accertamento del fatto di reato e della riconducibilità dello stesso al suo autore, abbiamo constatato le difficoltà a conciliare l’accertamento giudiziario con i tempi della prescrizione, abbiamo continuato a ripetere che si poteva fare meglio e di più. Anche oggi siamo di fronte ad una riforma epocale, anche oggi i primi dubbi sono legati a quello che succederà dopo l’entrata in vigore della legge di revisione costituzionale. Il timore, quasi appena sussurrato, che accomuna gran parte di coloro che invocavano a gran voce la riforma è quello che all’inserimento della tutela dell’ambiente, nelle sue diverse declinazioni, che vedremo da qui a breve, non consegua un novum concreto.
È davvero così? Il testo è ampiamente formulato. All’art. 9 si introduce un nuovo comma in base al quale accanto alla tutela del paesaggio storico-artistico della Nazione si attribuisce alla Repubblica anche la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. Viene poi inserito un principio di tutela degli animali attraverso la previsione di una riserva di legge statale che ne disciplini le forme e i modi.
Viene poi modificato – e questo secondo me è il vero punto di svolta – l’art. 41 che regola l’esercizio dell’iniziativa economica. Nello specifico, si stabilisce che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in danno alla salute e all’ambiente, ponendo tali limiti in posizione di estrema rilevanza rispetto alla sicurezza alla libertà e ad alla dignità umana. Infine, si riserva alla legge la possibilità di indirizzare e coordinare l’attività economica, pubblica e privata, a fini non solo sociali ma anche ambientali.
La qualificazione come primari dei valori dell’ambiente e della salute vuol dire che gli stessi non possono essere sacrificati rispetto ad altri interessi ancorché costituzionalmente tutelati, ma dovrà essere eseguito di volta in volta un bilanciamento concreto senza pretesa alcuna di assolutezza. Se in passato si facevano i conti con un difficile equilibrismo tra emergenze ed equilibrismi applicativi, da oggi in poi il nostro faro sarà la Costituzione. Il richiamo, da ultimo, alle generazioni future, di assoluta novità, ben descrive la situazione di emergenza attuale che ci consegna l’immagine di un pianeta in fiamme e ci pone di fronte ad un grosso onere di responsabilità nei confronti delle generazioni appena nate e di quelle che nasceranno. Una rivoluzione, dunque, di valori sedimentati nel tempo: dalla tutela dell’individuo come soggetto principale dei diritti contemplata dopo il dramma della seconda guerra mondiale nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un lento progressivo passaggio dai diritti individuali alla tutela della vita e della salute quali valori universali.
La portata della riforma è pertanto di segno epocale, come sottolineato dal ministro Cingolani, ed il fatto che sia stata segnata da un consenso politico così ampio ci fa ben sperare innanzitutto per quanto riguarda il livello di consapevolezza raggiunto dalla politica, inquadrabile in un auspicabile superamento dell’ambientalismo come concetto di settore.
L’ambiente come priorità di tutti ci fa ben sperare anche per quanto riguarda la concreta efficacia della riforma. Perché al di fuori del testo i nuovi principi costituzionali devono essere un monito costante per il legislatore. E ciò vuol dire che se ne dovrà tenere adeguatamente conto nell’ambito del PNRR, nella ricerca di soluzioni ecosostenibili, in tutte quelle decisioni destinate ad incidere in maniera diretta o indiretta sull’ambiente nella sua nuova declinazione costituzionale. Anche e soprattutto in quei settori industriali particolarmente complessi e delicati come è stato quello dell’ILVA negli ultimi anni.