martedì, 17 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Un Presidente che presiede

Il tono ed i contenuti del discorso del Presidente Mattarella dopo la sua seconda elezione alla più alta carica dello Stato hanno sorpreso un po’ tutti e sono stati oggetto, sulla stampa e sulla televisione, di ampi commenti e di una disamina quasi al microscopio.

Sotto questo profilo non potrei dare nessun contributo, non potendo fare altro che limitarmi a ribadire il plauso per le denunce senza mezzi termini avanzati verso più parti della politica e dell’amministrazione della cosa pubblica e la convinzione della necessità di riforme ineluttabili.

Si tratta, peraltro, come esattamente ha annotato qualcuno dei giornalisti più attenti, di argomenti nel corso del settennio passato, più volte dal Presidente Mattarella portati all’attenzione del Governo e del Parlamento, senza esito alcuno.

Tra i tanti, un posto predominante riservato alla riforma della Giustizia: la riforma che tutti vogliono e che nessuno ha il potere di fare, senza il consenso delle organizzazioni della magistratura.

Sennonché nessuno osa affermare la verità: non serve una riforma, ma è necessaria una autentica rivoluzione, perché non si tratta di piccoli aggiustamenti, ma di determinare un differente atteggiamento culturale di tutti i suoi protagonisti.

Disagio generale che, proprio negli stessi giorni del discorso del Presidente, emerge dalla cronaca.

La pubblicazione del libro di Sergio Rizzo, “Potere Assoluto” (Solferino ed.), col significativo sottotitolo “i cento magistrati che comandano in Italia” con riferimento ai magistrati amministrativi, da sempre consulenti dei Ministri, controllori degli uffici legislativi dei vari ministeri: con l’anomalia che in tal modo la giustizia amministrativa da un lato partecipa alla cosa pubblica e determina l’azione amministrativa, dall’altro giudica gli atti della cosa pubblica. Con una politica sempre più subordinata e ministeri sempre più legati ai “decreti attuativi”, che nella pratica sono scritti proprio dai loro consulenti magistrati: e che impongono una attuazione della legge non so quanto consona alla volontà del legislatore. Si tratta di un esercizio del potere che richiede un grande equilibrio, perché è evidente che basta un nulla per determinare un tumore.

Situazione, peraltro, neppure paragonabile a quella della giustizia ordinaria.

La riforma del processo penale – denuncia Gian Domenico Caiazza, Presidente dell’Unione delle Camere penali – «sarà scritta dei magistrati con un metodo para sindacale… che assurdità le toghe che scrivono leggi per riformare se stesse!».

Una riforma quindi gattopardesca che proclama mutamenti solo perché nulla in sostanza cambi.

Non entro nel merito. Annoto solamente che gli avvocati sono tenuti lontani: una fastidiosa necessità nel processo, secondo l’intimo sentire di alcuni (pochissimi, per fortuna); qui non necessari e, quindi, allontanati.

Gli avvocati, però, costituiscono una componente essenziale del settore della giustizia e, mi piace ricordarlo, sono gli unici soggetti che garantiscono i diritti e la libertà anche contro il potere, anche contro le deviazioni del potere. Sono gli avvocati che stanno difendendo disperatamente Patrick Zacki davanti alle Corti giudiziarie egiziane, che hanno rivendicato l’habeasn corpus quando egli era detenuto senza processo (situazione molto comune, purtroppo, anche nel nostro Stato di diritto). I giudici stanno dalla parte dello Stato, anche quando lo Stato è assolutista.

Nessuno, affrontando la riforma, tocca i problemi reali: quali l’obbligatorietà dell’azione penale, che è diventato il paravento di qualsiasi iniziativa e la copertura per le numerosissime persecuzioni giudiziarie (perché tale è una imputazione penale non fondata): non passa settimana senza che si abbia notizia dì qualche cittadino, finalmente assolto con la più ampia formula, dopo anni di pene inflittegli dallo Stato: quasi sempre arresti, ma ricordiamo che anche il processo è pena.

Riforma che diventa impossibile anche per il settore civile: dove il massimo dell’iniziativa è inventarsi improbabili soluzioni che finiscono solo per rallentare ancora dì più il processo.

Non ho e non propongo ovviamente la mia idea di riforma.

Non ne ho per il settore penale, che non pratico. Ne avrei alcune per quello civile: nate da quarantatré anni ininterrotte di confronti nelle aule giudiziarie, la maggior parte delle volte per vedere il giudice che “dirige il traffico”: ogni udienza è fine a sé stessa e prevede un rinvio per un ulteriore incombente. Basterebbe limitare l’intervento del giudice ai due-tre momenti in cui veramente deve decidere qualcosa ed il processo si chiuderebbe in meno di un anno, salvo il caso che servano consulenze tecniche: che, però, potrebbero svolgersi dopo avere stabilito il punto di diritto con una sentenza parziale.

Sto andando troppo sul tecnico e vi annoio.

Il Presidente Mattarella ha anche parlato della riforma del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il capo dello Stato è il presidente del CSM. Nella pratica, a parte la formale partecipazione ad alcune sessioni plenarie, i Presidenti della Repubblica si sono cautamente tenuti lontani dalle beghe del Palazzo dei Marescialli. Ad eccezione di Cossiga, nell’ultimo anno del suo mandato.

Con Cossiga sappiamo com’è finita. Ma Mattarella ha oggi sette anni di mandato davanti a sé ed un potere ed un prestigio in quest’istante enorme.

La prima è più grande riforma sarebbe proprio questa: un Capo dello Stato, che presieda veramente il CSM: organo che – come ha annotato acutamente Cassese – nel suo discorso il Presidente non ha mai definito “di autogoverno”: definizione che è dei giudici, non della Costituzione.

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