mercoledì, 18 Dicembre, 2024
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Intervista a Davide Tutino: “Fare delle debolezze una possibilità”

C’è un uomo in piedi, in silenzio, con un cartello al collo, su cui sta scritto “green-pass tortura di Stato senza reato”. È in sciopero della fame. Alle sue spalle si staglia Palazzo Madama e le camionette della polizia, con intorno gli agenti che lui chiama “fratelli”. L’aria è carica d’amaro in questa Roma diventata una mamma che non allatta più tutti. In molti gli sfilano accanto, alcuni, pochi, contrariati, altri ammiccando, altri lo abbracciano sorridendo, alcuni lo stringono piangendo. Quest’uomo sorride a tutti nello stesso modo. La sua è una pacatezza che colpisce, esemplare e auspicabile, comunque la si pensi, in questo periodo di tensioni, senza precedenti, almeno da che sono in vita. Davide Tutino è un professore di filosofia di liceo, insegna a Roma, e con una dignità gentile risponde alle mie domande.

Chi è Davide?
È una domanda troppo grande, anzi è la domanda che la vita pone a se stessa ogni volta che assume la forma di un uomo. Si risponde con le proprie azioni. Mi sento un cercatore di verità. Come professore mi identifico in uno studente anziano, che ha scelto di non lasciare mai la scuola, perché essa è il luogo in cui si costruisce la società.

Cosa ti spaventa e cosa ti rende felice?
Mi spaventa non vivere e la paura che, spesso, impedisce di farlo, mentre mi rendono felici i bambini e il caos che portano nel mondo mettendoci alla prova.

Cos’è per te la malattia e cosa la salute?
Ciascuno di noi nasce con un bagaglio di debolezze che chiama, con una parola negativa malattia, ma andrebbe guardato positivamente come quell’insieme di domande, di questioni che ognuno ha il compito di portare nel mondo. Nel momento in cui noi iniziamo a guardare la malattia come un espressione della profondità del nostro essere ci rendiamo conto che essa è profondamente collegata con la salute. Allora credo che la salute sia uno spostamento di sguardo, per fare delle nostre debolezze una possibilità, uno strumento per percorrere il cammino che ci porta a un livello superiore.

Conosci il dolore della perdita per malattia?
Sì, ho vissuto più volte il dolore del vedere malato chi mi è caro e nel vederli andare via. Per me ha significato, oltre la disperazione, anche un momento di estrema vicinanza con chi se ne stava andando. Anche in questo momento di pandemia, ci sono persone a me molto care, che stanno affrontando prove molto dure con il covid. Credo infine che il momento di una malattia grave sia stato dalla nostra società nascosto per decenni sotto le luci bianche degli ospedali, che in qualche modo anestetizzano e istituzionalizzano il dolore. Dobbiamo tornare a guardare in faccia il dolore, forma essenziale per concepire la vita come dono.

Cosa ti sostiene dall’interno quando tutto intorno a te crolla?
Credo che quando tutto crolla, la speranza non sia qualcosa che possiamo trovare davanti a noi per strada. Credo che, in tali momenti, dobbiamo noi cercare di incarnare quella speranza. Mi rifaccio ai versi di Walt Whitman, quando si dispera e chiede “che cosa c’è di buono in tutto questo?” e la vita risponde “che tu sei qui, che la vita va avanti e che tu puoi contribuire con un verso.”

Quale valore etico è più trascurato dalla nostra società?
L’apertura verso l’altro essere umano. L’apertura è riconoscere che io sono qui per domandare, per imparare e che desidero spendere la mia vita per approfondire questa mia domanda nel dialogo con gli altri. Allora, solo allora, possiamo usare la parola amore.

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