sabato, 16 Novembre, 2024
Agroalimentare

Toscana, Marche e Friuli le regioni più bio d’Italia

La Toscana, le Marche e il Friuli Venezia-Giulia salgono sul podio delle regioni più bio d’Italia, seguite da Veneto, Umbria ed Emilia-Romagna. Lo certifica una ricerca sulla filiera bioeconomica italiana elaborata da SRM, Centro Studi legato al gruppo Intesa Sanpaolo. Dopo il primo gruppo di regioni composto da Toscana, Marche, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Umbria ed Emilia-Romagna, caratterizzato da un’impronta bio e da un livello di transizione bioeconomica più elevati, segue un secondo gruppo, sempre distinto da un’impronta bio elevata ma con un più basso livello di transizione bioeconomica, composto da Abruzzo, Puglia, Basilicata, Trentino Alto-Adige, Molise, Sardegna e Calabria. Questi primi due gruppi, a parità di impronta bioeconomica, si contraddistinguono, quindi, per un diverso livello di transizione sul quale incide anche la dimensione innovativa del sistema produttivo che risulta maggiore nel primo gruppo. Il terzo gruppo, con un’ancora più bassa impronta bio dell’economia e con livelli di transizione tecnologica variabili, vede presenti Campania, Lombardia, Piemonte e Sicilia, mentre agli ultimi posti si piazzano Lazio, Liguria e Valle d’Aosta. C’è da evidenziare che molte di queste regioni, come ad esempio la Lombardia, la Campania ed il Lazio si caratterizzano per una maggiore diversificazione produttiva (rispetto alle regioni delle rispettive macroaree) ed una più articolata e variegata specializzazione industriale, che possono penalizzarle nella valutazione del reale ruolo nella bioeconomia. Il valore aggiunto della bioeconomia italiana è di circa 100 miliardi e impiega oltre due milioni di addetti.

Con questi valori l’Italia è fra i Paesi in Europa a più alta incidenza della bioeconomia all’interno del sistema economico, il 6,4% in termini di Valore aggiunto e quasi l’8% per l’occupazione. Dall’analisi territoriale, il Nord Est è la prima area del Paese per valore aggiunto realizzato dalla filiera bioeconomica (29,6 miliardi). Segue il Nord Ovest (28,3 miliardi), il Mezzogiorno (24,4 miliardi) e infine il Centro (19,3 miliardi). Prendendo in considerazione gli addetti, la prima area è quella meridionale (con circa 732mila occupati, il 36,5% del dato nazionale). La filiera agro-alimentare rappresenta l’attività più rilevante della bioeconomia in tutte le aree geografiche, e soprattutto nel Mezzogiorno dove il peso del valore aggiunto della filiera arriva quasi al 79% (Italia: 62%) e quello degli addetti all’85,7% (Italia: 70%). Le regioni meno performanti – rileva lo studio di SRM – sono quelle che debbono maggiormente impegnarsi nel processo di transizione bioeconomica dei settori parzialmente bio, e tra queste si collocano diverse realtà meridionali. Il Pnrr offre una grande occasione di rilancio per la bioeconomia perché destina la quota più rilevante delle risorse alla transizione ecologica. Nello specifico, si tratta di 59,47 miliardi (pari al 31% del totale delle risorse del Pnrr) a cui vanno aggiunti ulteriori 9,16 miliardi del Piano Complementare e 1,31 miliardi di React EU.

La quota di risorse destinata al Mezzogiorno è stimata pari a circa il 32,8% del totale. Un’altra fetta importante delle risorse del Pnrr è destinata alla transizione digitale. Dei circa 49,3 miliardi di euro della transizione digitale, ben 23,9 miliardi sono destinati alla digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo e a questi vanno aggiunti altri 5,88 miliardi di euro a valere sul Piano Complementare. La relativa quota di risorse del Pnrr destinata al Mezzogiorno è stimata pari al 36,5%. Il Mezzogiorno ha quindi un ruolo primario nella transizione verde del Paese per la rilevante impronta bioeconomica e per le potenzialità che può valorizzare, grazie anche al Pnrr. Per Salvio Capasso, responsabile servizio imprese e territorio di SRM “la bioeconomia è una filiera che si alimenta negli ambienti innovativi. La sua crescita è strettamente connessa alla continua ‘contaminazione’ con la componente tecnologica. Questo richiede una maggiore apertura alla collaborazione. Strategico diventa il rapporto tra imprese, università, finanza e istituzioni, tutti attori chiamati ad accompagnare l’effettiva transizione ecologica ed energetica del Paese”.

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