Una penisola circondata di giacimenti di gas che si affida alle risorse a caro prezzo di Russia, Algeria, Stati Uniti. Ma queste fonti non bastano più in termini di consumi, costi, e spese di calmiere da parte delle casse pubbliche. A parlare di soluzioni razionali e di come l’Italia potrebbe diventare auto sufficiente, o almeno ridurre l’import di gas, sono in pochi ma con idee chiare e convincenti.
Meno consumi e costi alle stelle
I numeri dicono che a fine 2021 il Paese ha consumato 66,4 miliardi di metri cubi di metano, di cui 3,05 dai giacimenti nazionali, con una annotazione: l’estrazione Italiana è scesa di un altro -19%. Si importata di più a prezzi che hanno raggiunto una crescita in rapidissima successione – le tariffe gas sono salite del 41,8% solo negli ultimi tre mesi del 2021 – siamo al top dei costi ma l’Italia investe sempre meno nelle sue risorse e giacimenti.
Il risultato che a inizio 2021 generare un megawattora (MWh) di energia elettrica con il gas naturale aveva un costo di circa 20-25 euro; martedì 21 dicembre 2021 il prezzo è salito a 181 euro, il record di sempre. Per gennaio-febbraio la corsa del prezzo tenderà a salire, poi la curva si stabilizzerà e forse scenderà. Nel frattempo per famiglie e imprese sarà il continuo di uno tsunami che porterà un aumento di povertà e settori produttivi alla chiusura, con un intervento dello Stato che ha già siedo oltre tre miliardi per il 2021. Fondi destinati ad aumentare nelle prossime settimane. L’Italia è così finita al centro della tempesta perfetta.
Svolta necessaria
Le difficoltà per le famiglie e imprese saranno destinate a crescere a livelli imprevedibili e soprattutto insostenibili. L’Italia ha una fortissima dipendenza dalle forniture estere, un import sull’energia disponibile del 95,1% a fronte dell’89,7% della media Europea. Nella stima di Confartigianato la spirale dei prezzi divora gli utili delle imprese che a questo punto saranno costrette a scelte perentorie.
Per il prossimo futuro c’è inoltre il nodo delle fonti di approvvigionamento. L’importazione di gas si concentrata con la Russia per il 44% e dall’Algeria per 33%. Ogni tensione geo politica si replica sul prezzo e la capacità dell’Italia di adeguarsi alle oscillazioni. Altro punto di debolezza, dal momento che il fabbisogno annuo di gas naturale sfiora i 70 miliardi di metri cubi, è la crisi della produzione nazionale.
L’Italia nel 2021produceva 16 miliardi di metri cubi, il dato massimo raggiunto raggiunto nel 2001.
Estrazione allora concentrata nei giacimenti dell’Adriatico, della Val Padana, della Basilicata e della Sicilia. Dopo venti anni questo scenario è stato completamente stravolto dai disinvestimenti volute (in chiave ambientalista e politica) dai movimenti ecologisti e dai 5S, con una produzione nazionale ridotta al 4.4%. Troppo poco per contrastare il galoppo di prezzi e import. Secondo i calcoli per avere un minimo di resistenza contro i rincari l’Italia dovrebbe portare la sua produzione al doppio, sugli 8 miliardi di metti cubi, che comunque rappresenterebbe solo la metà di ciò che si produceva nel 2021.
Estrazione, ecco il Pitesai
A vigilare sulle “attività in permessi di ricerca” di idrocarburi “che potrebbero riprendere e i pozzi esplorativi che potrebbero essere perforati una volta scaduto il termine del 30 settembre 2021”, è il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, il Pitesai. Finora però il Piano per motivi politici e burocratici è rimasto nel cassetto. Troppi gli intralci e le resistenze per poter ridare il via libera a concessioni ed estrazione. Eppure queste sarebbero le strade, le uniche, a disposizione per poter ridare forza ad una autonomia energetica nazionale. Sul fronte della riapertura, certo prudente e graduale, si sono espressi i ministri della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, indicando un ritorno ai giacimenti italiani di metano al posto di aumentare l’import.
A conti fatti, secondo un calcolo con un investimento da 1-1,5 miliardi di euro delle compagnie si potrebbe raddoppiare l’estrazione nell’arco di un paio d’anni. Non solo, il Governo con la sua eterogenea maggioranza eviterebbe la levata di scudi di chi è contro la messa in produzione di nuovi giacimenti o alla riapertura di quelli chiusi. Si aumenterebbe solo la produzione di quelli esistenti per arrivare ad una estrazione da 3,5 a 7-8 miliardi di metri cubi l’anno.
Il futuro tra attenzioni e pragmatismo
A spiegare da tempo come una svolta non sia solo auspicabile ma necessaria e utile al Paese è Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia, in un’intervista ad “Agenzia Nova”. “Le crescenti importazioni di gas naturale a prezzi elevati”, fa presente Tabarelli, “hanno indebolito il sistema italiano, che trasferisce all’estero enormi quantità di denaro e risorse che potrebbero essere invece sfruttate per crescere e fare Pil”.
Soluzione che andrebbe incontro anche alla riduzione di impatto ambientale, perché per il presidente di Nomisma Energia, “L’importazione di gas dalla Russia o dagli Stati Uniti, via tubo o via nave, è molto invasiva sul piano ambientale, comportando notevoli perdite di metano in atmosfera”. Infine una osservazione, oltre ai vantaggi contro il caro bollette per famiglie e imprese, “potremmo fare produzione e ricerca facendo lavorare le nostre aziende”, evidenzia ancora Davide Tabarelli, “a partire dall’Eni, ma anche tutta la filiera del trasporto, delle attrezzature e degli impianti le cui persone potrebbero lavorare di più”.