Nel 2021, il 60,3% delle piccole e medie imprese (PMI) italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale (56% la media Ue27). Il target europeo 2030 è del 90%. Lo rende noto l’Istat.
Tra le imprese con almeno 10 addetti il 41,9% ha acquistato servizi di cloud computing di livello medio-alto e il 51,9% di livello intermedio e sofisticato (35% la media Ue27, 75% l’obiettivo europeo 2030).
Gli indicatori del Digital Economy Society Index per le PMI che vendono online migliorano molto lentamente. In aumento le imprese che usano almeno due social media (da 22% a 27%).
Nell’uso di dispositivi e sistemi intelligenti controllati via Internet (IoT) le imprese italiane con almeno 10 addetti sono ottave in Europa.
A livello europeo la transizione digitale è misurata attraverso indicatori chiave sullo stato della digitalizzazione in termini di infrastrutture abilitanti, competenze, utilizzo da parte di individui, famiglie, imprese e pubblica amministrazione. Alcuni di questi indicatori sono inclusi nell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) in uso dal 2015, che monitora l’evoluzione delle prestazioni digitali negli Stati membri dell’Ue e i risultati delle politiche nazionali.
Nel programma della Commissione europea delineato dalla ‘Bussola digitale 2030’ il Desi è stato ulteriormente rafforzato come strumento di monitoraggio per il decennio digitale e per individuare i target da raggiungere entro il 2030 .
L’andamento nel tempo degli indicatori della transizione digitale stimati nell’anno 2021 mostra da una parte, lenti miglioramenti – in analogia con la media Ue27 – nell’area del commercio elettronico delle PMI; dall’altra, importanti accelerazioni nell’adozione di servizi cloud di livello intermedio o sofisticato (52% contro una media Ue27 del 35%) e nell’utilizzo di almeno due social media (27%; +10 punti percentuali dal 2017).
Arretra l’adozione di software per la condivisione di informazioni tra funzioni aziendali diverse (Erp, Enterprise Resource Planning) passando dal 37% del 2017 al 32% in controtendenza rispetto all’andamento della media Ue27 che ha raggiunto il 39%.
L’indicatore relativo alla digitalizzazione ‘di base’ delle PMI
(almeno 4 delle 12 attività legate all’adozione di ICT), colloca quelle italiane al decimo posto della graduatoria europea prima delle PMI tedesche (59%) e francesi (47%).
La terza dimensione (Integration of Digital Technology) del Desi 2021, misurata con dati 2020, pone l’Italia al decimo posto in Europa. Sostituendo i valori di alcuni indicatori della dimensione con quelli rilevati nell’anno 2021 relativi a e-commerce, cloud, ERP e social media, il nostro Paese avrebbe scalato due posizioni raggiungendo l’ottava posizione nella dimensione ma senza riuscire a superare il ventesimo posto della graduatoria finale del Desi.
Il comportamento delle imprese è stato valutato rispetto a 12 caratteristiche specifiche che contribuiscono in ciascuna edizione di indagine alla definizione annuale dell’indicatore composito di digitalizzazione denominato Digital Intensity Index (DII) utilizzato per identificare le aree nelle quali le imprese italiane incontrano maggiori difficoltà.
In generale, l’80% delle imprese con almeno 10 addetti si colloca ancora a un livello ‘basso’ o ‘molto basso’ d’adozione dell’ICT, non essendo coinvolte in più di 6 attività tra quelle considerate.
Il restante 20% svolge invece almeno 7 delle 12 funzioni, posizionandosi su livelli ‘alti’ o ‘molto alti’ di digitalizzazione.
Il 60,8% delle imprese con almeno 10 addetti ha un livello di digitalizzazione ‘di base’ e occupa il 78,1% di addetti.
Con riferimento ai 12 indicatori per classe di addetti, il divario maggiore (oltre 30 punti percentuali) si riscontra nell’adozione di software gestionali di condivisione delle informazioni come ERP
e CRM. Per tutti gli altri indicatori si registrano differenze tra i 19 punti percentuali dell’Intelligenza artificiale e i 28 punti percentuali per l’adozione di dispositivi intelligenti e l’utilizzo di almeno due social media.
La quota di piccole imprese che svolgono attività digitali cresce fino all’adozione di quattro attività per poi ridursi rapidamente;
la quota delle grandi imprese raggiunge invece il suo massimo intorno alle otto attività per poi registrare una diminuzione.
La connessione in banda larga fissa con velocità almeno pari a 30 Mbit/s è la tecnologia diffusa nella maggior parte delle imprese (78,3%) anche tra quelle che la adottano come unica tra le 12 analizzate (67,1%).
Analizzando le quattro combinazioni più frequenti di attività svolte tra i 12 livelli dell’Indice europeo di intensità della digitalizzazione per classe di addetti è possibile individuare le tecnologie che vengono implementate per prime fino a raggiungere almeno un livello ‘di base’.
Nella classe di imprese 10-49 addetti la situazione più frequente corrisponde all’utilizzo della sola banda larga a velocità almeno pari a 30 Mbit/s (BL). Nel caso delle grandi imprese è invece maggiormente diffusa una combinazione più complessa che conta almeno nove tecnologie: connessione a Internet, cloud (cc, CC), software gestionali (ERP, CRM), uso dei social media (SM, 2SM) e dei device intelligenti (Iot). È solo tra le imprese con almeno 50 addetti che tra i primi quattro modelli tecnologici più utilizzati è inclusa anche l’adozione dei software gestionali (ERP e CRM). La presenza di IoT e di vendite online almeno pari all’1% dei ricavi totali si riscontra invece solo nelle imprese con almeno 250 addetti.
Il cloud di livello medio-alto (CC) è un’attività scelta anche dalle piccole imprese, a conferma della grande diffusione di questa tipologia di servizi registrata negli ultimi anni.
Infine, le attività relative alle innovazioni tecnologiche più avanzate, quali Internet delle cose e Intelligenza artificiale, ricorrono tra le prime quattro combinazioni solo tra le imprese che hanno già adottato altre attività di base e quindi sono connesse soprattutto a gradi di digitalizzazione alti e molto alti delle imprese di maggiore dimensione.
Nel 2021, una nuova sezione del questionario è stata dedicata all’utilizzo di tecnologie di Intelligenza artificiale (IA) legate a specifiche finalità aziendali .
Il 6,2% delle imprese ha dichiarato di utilizzare sistemi di Intelligenza artificiale per almeno una delle sette finalità proposte (8% la media Ue27), quota che arriva al 15,4% tra le imprese attive nel settore dell’ICT e raggiunge incidenze maggiori nelle telecomunicazioni (18,1%), nell’informatica (16,9%), nella fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (15,7%).
Osservando i settori di attività economica per intensità di utilizzo di tecnologie di IA attraverso la misura del numero di finalità e tecnologie, emerge che circa nel 6% delle imprese dell’informatica e delle telecomunicazioni viene adottato un utilizzo combinato di almeno tre tecnologie IA; tale quota raggiunge rispettivamente il 12,2% e il 10,3% nel caso di due tecnologie IA.
Gli strumenti IA sono utilizzati soprattutto per le seguenti finalità: estrazione di conoscenza e informazione da documenti di testo (37,9%), conversione della lingua parlata in formati leggibili da dispostivi informatici attraverso tecnologie di riconoscimento vocale (30,7%) e automatizzazione di flussi di lavoro attraverso software robot (30,5%).
In generale, l’Intelligenza artificiale è sfruttata soprattutto per tecnologie e finalità specifiche per l’attività economica. Ad esempio nel settore manifatturiero il 39,0% delle imprese utilizza IA per finalità di automatizzazione. Nel settore dei servizi prevalgono le finalità conoscitive: in particolare il 44,3% delle imprese fa ricorso a strumenti di IA per l’estrazione di informazioni da documenti di testo.
Gli ambiti aziendali in cui vengono più spesso adottati sistemi di intelligenza artificiale sono relativi a processi di produzione, ad esempio per la manutenzione predittiva o il controllo qualità della produzione (31,8%), alla sicurezza informatica (26,6%), alla funzione di marketing o vendite, ad esempio per funzioni di assistenza ai clienti o campagne promozionali personalizzate (24,0%) e alla gestione d’impresa attraverso l’analisi dati a supporto degli investimenti o per effettuare previsioni di vendita (21,6%).