Quale gesto più irrisolto, imperfetto, infinito se non quello della carezza: che non ha un termine definito, che si avvicina al volto e si separa senza stabilire un netto confine visibile. Il gesto di accarezzare, dapprima forse consueto in taluni casi, è diventato quasi rivoluzionario in questo particolare stato in cui versa il nostro tempo. Il primo naturale effetto della pandemia nell’interazione sociale, non è stato quello della negazione degli abbracci, dei baci, degli sguardi distanti e mancanti – ma l’assenza più forte ed immediata si è manifestata nel distacco tra le mani; le nostre mani che non hanno potuto stringersi, né sfiorarsi, né – ancor peggio – offrirsi in una carezza.
IL DESIDERIO DI SEPARAZIONE
Confesso, sinceramente, di avvertire un moto di stupore ma anche di gaudio, ultimamente ogni volta che qualcuno – senza badare troppo alle regole – mi stringe la mano con spontaneità. E confesso di essermene altrettanto meravigliata: non della stretta di mano in sé, ma della letizia che il fatto mi suscita. Ho sempre coltivato un desiderio che già ritenevo presente nella mia natura: quello della separazione – che non significa discordia – ma distanza tra lati opposti che convivono in un singolo. E quest’acutissima indole di separazione – molto simile a quella di Diana cacciatrice – mi aveva sempre condotto a studiare e scoprire i lati antitetici eppure presenti e prepotenti entrambi in uno stesso carattere.
LA DISTANZA CHE AVVICINA
Ho capito che la necessità di distanza, di indipendenza, di solitudine così radicata – anche in questo caso: nel bisogno di contatto, rispettava le regole del dualismo che mi ha da sempre attraversato. E così ho riscoperto quanto quella stessa distanza attirasse la vicinanza. Come Calasso ne Il cacciatore celeste descriveva Artemide, appunto: capace di suscitare involontariamente il desiderio erotico più acuto, proprio lei che aborriva il sesso ed il contatto – poiché hagne, “pura”. E ho visto quanto una carezza – all’apparenza banale nella sua gestualità – assumesse così le sembianze di rivoluzione. Oggi una carezza è da considerarsi a tutti gli effetti rivoluzionaria, infatti. E nella sua rarità – tra sconosciuti, ma anche negli affetti – si veste di grandezza.
LA VOLONTA’ DELLA CAREZZA
Ecco, per me invero lo è sempre stata: ho sempre considerato la carezza un fatto intimo e denso di significato, sebbene fosse l’archetipo del contatto. Questa dualità, la sua doppiezza me l’ha sempre resa amabile e sacra. La sua sacralità, piena di purezza e al contempo di voluttà – capace di rigenerare lo spirito nella sua massima espressione di contatto, non è solo rivoluzione nello stato attuale delle cose – ma rivoluziona lo stato d’animo altrui, grazie al suo principio che sembra non finire; ed assumere i tratti di separazione ed unione rappresentati in questo gesto, estetico, etico e pure quasi mistico nell’estrinsecazione della sua volontà che è il suo risultato.