Glasgow e la Pre-Cop di Milano hanno avuto una importanza culturale e politica importantissima per aver posto al centro dell’attenzione pubblica, mediatica e delle agende politiche dei Governi il dramma dell’inquinamento atmosferico globale e del danno ambientale provocato dalle società industrializzate, che rischia di diventare irreversibile.
Ma parlare di politiche ambientali ad alti livelli non può o non deve farci dimenticare dei territori, dei loro bisogni e delle emergenze che pagano le fasce più fragili.
La transizione ecologica ha un costo, è stato più volte sottolineato anche dai grandi leader, che non può essere pagato da chi non se lo può permettere. Se si interviene, ad esempio, su quell’abusivismo edilizio di alcune aree geografiche italiane, per lo più al Sud, che sicuramente contribuiscono a rendere un territorio più esposto a esondazioni di fiumi, frane e smottamenti, se non a deturpare un paesaggio, qualcuno deve anche prendersi carico di persone che si ritrovano all’improvviso senza una abitazione. Occorre una visione di insieme organica che renda gli interventi green socialmente sostenibili.
Un altro esempio. Ai fini della de-carbonizzazione, il tema della mobilità è strategico. Le auto elettriche possono certamente rappresentare una soluzione, ma non se hanno un prezzo così alto da restare una scelta elitaria. A chi non se le può permettere, vanno assicurati incentivi oppure un trasporto pubblico locale funzionante. Le politiche ambientali, dunque, devono essere sempre accompagnate da politiche sociali, possibilmente progressive. Incentivi, cioè, che aiutino la transizione ma che tengano conto dei diversi redditi di modo che la spesa pubblica non ne sia travolta.
Anche rivedere l’impianto giuridico, che riconosca una titolarità all’ambiente, può contribuire, insieme alla formazione e sensibilizzazione pubblica, a riportare al centro delle considerazioni politiche l’essere umano e il contesto in cui vive, la sua salute, la sua qualità della vita.