La crisi di Ferragosto ha innescato una serie di terremoti a catena nello scenario politico italiano.
Oltre al cambio di maggioranza, abbiamo assistito ad una serie di mutamenti di notevole portata nei singoli partiti e anche nelle persone.
Nel Pd c’è stata la scissione di Renzi; tra i 5 stelle si è aperta una faglia dagli sviluppi imprevedibili e che ha visto una piccola emorragia di parlamentari ma soprattutto una redistribuzione degli equilibri interni e la messa in discussione di ruoli che sembravano intoccabili.
In questo scenario il cambiamento più rapido e profondo è quello che riguardato il presidente del Consiglio. Giuseppe Conte, che per un anno aveva mantenuto un profilo prudente, cercando di fare da paciere e da collante ad una coalizione litigiosa, nel suo intervento al Senato il 20 agosto si è assunto la responsabilità politica di condannare con una durissima requisitoria la deriva imposta da Salvini al Governo gialloverde e di aprite una nuova fase politica. Conte ha lasciato i panni del professionista prestato alla politica per assumere direttamente un ruolo politico.
Si è presentato come l’anti-Salvini e, in quest’ottica, come il potenziale interprete di una diffusa esigenza di riformismo moderato, europeista e saldamente ancorato ai valori della libertà e della democrazia pluralista.
Il Conte 2 è nato non solo perché 5 stelle e Pd hanno deciso di far fronte comune contro una destra intollerante ed estremizzata ma anche perché questo nuovo equilibrio politico ha avuto la sua personificazione nel Presidente del Consiglio che ha messo in soffitta il populismo per tornare ad un vero popolarismo.
Si può ragionevolmente affermare che oggi Giuseppe Conte sia un leader che non si identifica in nessuno dei partiti che sostengono la sua maggioranza.
Sicuramente il profilo politico di Conte non ha radicamenti né nel Pd né tanto meno in Italia Viva e, rispetto al Movimento 5 stelle che pure lo aveva voluto nel 2018 alla guida del Governo, Conte oggi si muove con autonomia e propone, anche nello stile e nel linguaggio, una interpretazione diversa della politica italiana.
Un leader senza partito può esistere, ma non per troppo tempo. Inizialmente questa condizione gli conferisce una grande libertà di manovra e una notevole autonomia nella conduzione della politica generale del Governo che la Costituzione gli affida.
Ma, alla lunga, i vantaggi di questa totale libertà possono diventare ostacoli allo svolgimento del ruolo.
Esistono, dunque, due buoni motivi che giustificano la creazione di una nuova formazione politica intorno al Presidente del Consiglio.
Il primo motivo riguarda il rafforzamento complessivo della coalizione. La scissione repentina di Renzi, nonostante le dichiarazioni solenni fatte dal suo protagonista, non rinvigorisce la maggioranza di governo apportando qualche voto in più preso da Forza Italia, ma rischia di creare una conflittualità che non gioverà all’azione di governo.
Se, quindi, il Presidente del Consiglio si costruisce una forza politica intorno alla sua persona, sicuramente questo nuovo partito sarà di aiuto al Governo e servirà a stabilizzare i contrasti che inevitabilmente emergeranno nei prossimi mesi.
Ma c’è un motivo di carattere più generale che dovrebbe convincere Conte a mettere rapidamente le basi per un partito nuovo e riguarda la tematica del centro di gravità del sistema politico.
Nessuno dei partiti presenti sulla scena si può oggi definire partito di centro. Salvini ha scelto una deriva di destra che condivide con Fratelli d’Italia. Forza Italia è ormai priva di una rotta precisa tentata sia dalla voglia di fare l’occhiolino a Salvini sia dalla ricerca di una capacità di guida del centro destra che ormai ha perduto e che non riesce a recuperare. Il Pd libero da Renzi cercherà di aprirsi sempre più a sinistra anche senza cadere in eccessi massimalistici, Italia Viva non ha ancora una precisa identità e rischia di identificarsi soltanto con le abilità tattiche del suo leader indiscusso che non sembra avere alcuna strategia di lungo termine, sicuramente non una strategia centrista.
Il Movimento 5 stelle soffrirà nei prossimi mesi un grave turbamento interno che, probabilmente, gli farà perdere quei connotati di forza vacuamente antisistema e lo costringerà a rivedere molte delle sue posizioni con scelte più mature e meno condizionate da sloganistica populista.
Quindi? Quindi c’è un grande spazio per una forza politica nuova, che sia espressione di un riformismo moderato, equilibrato, europeista e occidentale, che dia voce ai tanti cittadini italiani che non si sentono rappresentati dalle forze in campo. Non dimentichiamo che un italiano su tre non va a votare e che molti di quelli che votano si turano il naso per non aumentare il partito delle astensioni.
Il Presidente del Consiglio non è più un tecnico ed è diventato un politico che può rappresentare una novità in grado di attrarre consenso. Dovrà lavorare da subito per costruire un modello di partito snello, innovativo nell’organizzazione della partecipazione, aggregando una classe dirigente valida, perbene e autorevole e predisponendo una strategia per l’Italia che sia originale, coraggiosa senza cedimenti populistici, demagogici o personalistici.
Se lo farà sarà un bene non solo per questo Governo ma per l’Italia che sta faticosamente cercando nuovi punti di riferimento senza cadere nelle sbornie degli ultimi anni.