È dal 2012 che le Nazioni Unite hanno dedicato il 9 dicembre a riflettere attorno ai mali che produce il “virus della corruzione” del quale si hanno immense difficoltà a scoprirne “un vaccino” per debellarlo o, almeno, per ridurne le cause e gli effetti, essendosi affermato, purtroppo, nei fatti, un comportamento endemico, connaturato all’uomo.
L’azione giudiziaria ordinaria, nel nostro ordinamento giuridico, per quanto esemplare possa essere – benché non sempre tempestiva – può sanzionare ma non prevenire la violazione della legalità. A ciò sono competenti a provvedere e concorrere la legislazione, con incisivi adeguamenti, nonché nuovi comportamenti dei soggetti interessati politici, economici ed amministrativi.
Si tratta, infatti, di un fenomeno sociale, politico, economico e giuridico che – benché limitato a poche persone – corrode ed indebolisce, dall’interno di ogni apparato statale, i rapporti con l’intero tessuto sociale di cui le medesime persone ne fanno parte, minandone credibilità, fiducia, oltre che a tradire il giuramento prestato imposto ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche (art. 54 Cost.).
Occorre, quindi, che la sinergia degli organi e dei soggetti interessati a prevenire fenomeni di corruttela sia esercitata senza soluzione di continuità e che la data celebrativa del 9 dicembre di ogni anno, sia davvero un momento di esaltazione dei valori di onestà e legalità e non di sconforto per gli allarmanti dati statistici sul dilagare dei fatti oggetto di corruzione e concussione, le due facce della stessa medaglia.
Il cambiamento che mirava alla legalità nella Pubblica Amministrazione, avviato con l’Autorità nazionale anticorruzione, per prosciugare le occasioni della corruzione e della concussione, non è apprezzabile e, conseguentemente, mancano gli effetti sperati, per una molteplicità di motivazioni che si annidano nei vari livelli di responsabilità e di competenza, non escluso il venir meno di supporti giuridici, non condivisi dalla classe politica e di governo nelle contrapposte idee tra garantismo e giustizialismo.
A questo punto non resta che confidare nel principio di onestà che deve regnare nella coscienza civile, morale, etica e giuridica di ciò che ci è trasmesso dai principi sanciti negli articoli 97 e 98 della Costituzione nell’affermare che: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.”
L’ultimo comma, del citato art. 97 dispone che: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
Questo obbligo giuridico del reclutamento tramite concorso è il primo filtro necessario, fondamentale, per selezionare personale di integerrima moralità, in armonia col dettato del successivo art. 98, primo comma, il quale dispone che: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.”
La corruzione, nelle sue multiformi, poliedriche e fantasiose manifestazioni, può essere prevenuta. È dovere dello Stato attrezzarsi per snidarla ovunque si nasconda, dalle sue numerose ramificazioni ministeriali a quelle periferiche, adeguando strumenti operativi e selezionando risorse umane che diano quella indispensabile affidabilità e garanzia di ben operare con trasparenza, puntualità e, soprattutto, nella legalità.
Un campanello d’allarme, che non fa vivere sonni tranquilli, è direttamente collegato alla gestione delle risorse europee per il noto PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).