Il dibattito sulla complementarità delle professioni di oggi con la tecnologia di domani segna un altro passo in avanti e, questa volta, il round va al mondo dell’innovazione. Con una sentenza che sta facendo molto discutere, l’Australia si candida ad essere il primo paese ad attribuire il titolo di “inventore” ad una macchina. Lo scorso 31 luglio, infatti, la Corte Federale di Sidney si è pronunciata circa la possibilità che un’opera creata interamente da un sistema di Intelligenza artificiale possa essere tutelata al pari di una creazione umana, riconoscendo in tal modo (e per la prima volta) la qualifica di ideatore ad una macchina.
Il Caso “DABUS” e la decisione del tribunale australiano
Il caso balzato all’onore delle cronache è quello relativo a “DABUS”, una macchina progettata e costruita da Stephen Thaler. In questi ultimi anni, più e più volte, sono state presentate in tutto il mondo diverse domande di brevetto internazionale per la realizzazione di un contenitore per alimenti e di un apparato di segnalazione luminosa, in cui proprio il software “creativo” DABUS è stato indicato come l’inventore dei due oggetti. Non l’uomo bensì la macchina ha “creato” le cose, grazie al risultato delle elaborazioni automatiche del software.
È così la scorsa estate la Corte Federale australiana ha decretato che, ai sensi dell’Australian Patent Act, anche l’Intelligenza artificiale può essere annoverata tra gli inventori, non essendoci nulla nel diritto australiano sui brevetti che proibisca esplicitamente o implicitamente di includere anche l’Intelligenza artificiale come ideatore. La decisione è stata impugnata dinanzi alla Corte Federale Piena (ovvero la Corte d’Appello) e si è in attesa dell’esito del secondo round.
Prima di giungere in Australia, nel 2018 DABUS aveva provato anche la via europea, presentando formale richiesta di riconoscimento all’European Patent Office (EPO), l’Ufficio brevetti dell’Unione. Con decisione del gennaio 2020, però, l’Ufficio di Monaco di Baviera ha dato disco rosso alle pretese dell’algoritmo, in quanto esse non soddisfacevano i requisiti legali della Convenzione sul brevetto europeo poiché – in punta di diritto – il richiedente della concessione deve essere una persona in carne e ossa, e non una macchina. Non così nei moduli presentati da Thaler che, alla voce “Inventore”, aveva declinato le generalità proprio di DABUS, descritta e qualificata come “un tipo di intelligenza artificiale connessionista“.
Le reazioni alla sentenza DABUS
“L’EPO ha rigettato la domanda di registrazione presentata dalla macchina DABUS per una mera questione di forma, non entrando nel merito se l’Intelligenza artificiale possa o meno ritenersi titolare giuridica delle sue creazioni” ha commentato Gabriella Àncora, Presidente nazionale di CIU-Unionquadri, Confederazione sindacale che tutela i quadri nel settore privato e pubblico, ma anche il mondo delle professioni intellettuali, presente al CNEL e al CESE di Bruxelles. “Se, da un lato, questa non-decisione apre le porte a futuri provvedimenti tutti da scrivere, dall’altro si palesa la preoccupazione per la sostituzione uomo-macchina, soprattutto in quelle attività dove, istruendo a dovere l’algoritmo, questo è capace di creare contenuti, rendendo superflua l’attività della persona. Tuttavia, se doverosamente indirizzata, la tecnologia può dimostrarsi un valido alleato dell’attività professionale piuttosto che un competitor”.
Grazie allo sviluppo attuale dell’innovazione è possibile per i professionisti, già oggi, rendere a distanza molteplici servizi. È quindi necessario avviare quanto prima un dibattito strutturale sulla complementarità delle professioni di oggi con la tecnologia di domani” ha concluso Àncora.