COP26 is gone. Si è chiuso con un nulla di fatto. Tuttavia, il dibattito sul climate change è qui per restare. Ce lo ricorda il Presidente della Banca Mondiale, David Malpass, che in un recente articolo apparso sul conservatore Telegraph ha spiegato il ruolo che la sua organizzazione può giocare in futuro.
L’ambizione della Banca Mondiale
La cosa è di particolare rilevanza se il messaggio arriva in piena quarta ondata pandemica e a valle del fallimento storico rappresentato dalla conferenza di Glasgow. Per farla breve, è giunto il tempo del pragmatismo. Malpass ha chiaramente fatto sapere che di certo la banca non può prevenire disastri ambientali, ma può diventare una piattaforma comune per alleviare la vita di miliardi di persone.
Da fare ce n’è. E di investimenti pure. Per esempio, sostiene Malpass, aziende e investitori potrebbero innovare di più. Oggi come oggi, sottolinea, solo lo 0,5% dei brevetti va in direzione climatica. Inoltre, aziende e investitori potrebbero supportare lo sviluppo di soluzioni micro come case a prova di uragano o sistemi di irrigazione efficienti, particolarmente importanti se si pensa alle aree equatoriali che più saranno colpite dal riscaldamento globale.
I governi, da par loro, potrebbero invece lavorare per calibrare i piani urbani e territoriali con in mente i rischi climatici a lungo termine.
Insomma, si tratta di innovazioni volte a limitare l’impatto sulle fasce più deboli della popolazione e tese a supportare le economie locali sperando di generare effetti su larga scala.
Il limite della scalabilità della tecnologia
Già la scala. Perché questa è la sfida delle sfide. Infatti, secondo alcuni esperti come Julian Allwood, professore di ingegneria e ambiente all’Università di Cambridge e autore di un editoriale sul Financial Times, il vulnus dell’intera faccenda che ha determinato il fallimento di COP26 è stato proprio basarsi sulla “finzione che la tecnologia risolverà il problema del cambiamento climatico”. Ma “la tecnologia non risolverà il problema perché non può essere scalata sufficientemente nel tempo”.
La mancanza di ambizione della politica
A questo poi si aggiunge l’assenza di volontà politica. Scrive Allwood che, per raggiungere le zero emissioni, tutte le attività dei settori altamente inquinanti dovrebbero cessare completamente entro 28 anni, “ma nessuno lo ha detto.”
Senza dimenticare poi alcuni tentativi sghembi come quello del Primo Ministro inglese, Boris Johnson, che da un lato strombazza una strategia Net Zero ma, nei fatti, la mina col continuo sostegno ai settori inquinanti. È come se “un medico consigliasse a un alcolizzato di continuare a bere perché il governo ha in programma di sviluppare la tecnologia di riparazione del fegato in futuro”, conclude.
Insomma, parafrasando Flaiano, la situazione è grave e, ahinoi, piuttosto seria.