Non votano, ma sono coinvolti in prima persona nel disagio sociale ed economico: i ragazzi “under 18” sono alle corde. Per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, gli adolescenti italiani avranno il titolo di prima generazione “figlia della precarietà”.
Un ragazzo su due ha una famiglia in difficoltà economiche, che può per ora provvedere solo ai beni primari e all’istruzione ma per le garanzie future sarà dura e dovranno vedersela da soli, se scegliere un lavoro a bassa qualità e remunerazione, emigrare all’estero, oppure proseguire gli studi incastonando master e specialistiche ma un impiego vero resta un miraggio.
Nel contempo i giovani passano dal disinteresse all’impegno, e anche sulle prospettive di lavoro pur nutrendo un atteggiamento di sfiducia si dichiarano pronti a un lavoro manuale ma a condizione che sia ben remunerato e con precisi orari di impegno.
Vista così la crisi economica che investe i giovani significa che ci sono generazioni “stratificate” che sono state tagliate fuori dal lavoro, dalla crescita economica e sociale. Un mondo invisibile, che appare sconfitto mentre per un risvolto illusorio i giovani vivono e si nutrono – al pari di altre generazioni – di miti iperbolici, dai calciatori agli eroi del gossip, tutti super pagati, personaggi amplificati dai media in modo esasperato. Nel quotidiano i ragazzi sotto i 18 anni, invece, hanno visto ridotta anche la “paghetta” mentre la percezione di essere coinvolti nella crisi economica è costante.
La maggioranza degli adolescenti, racconta che la propria famiglia ha dovuto prestare maggiore attenzione alle spese tagliando quelle extra come le cene fuori e i divertimenti. Moltissime famiglie, quasi la metà, hanno effettuato tagli sui beni alimentari e sul vestiario oppure un quarto delle famiglie italiane hanno deciso di rinunciare alle vacanze. Ad analizzare il fenomeno dei “Giovani e la crisi “, portato alla luce dal Telefono Azzurro con una indagine Eurispes è anche la Nuova Pastorale Giovanile che mette a punto una riflessione attenta su un tema così delicato che viene sottaciuto e che torna saltuariamente alla ribalta come un fiume carsico. La Nuova Pastorale Giovanile vede spunti di ottimismo almeno nel constatare che i ragazzi sono consapevoli dello stato di difficoltà che vivono e che li circonda.
“L’esigenza di uniformarsi ad uno stile di vita più sobrio è sentito in particolar modo dalle famiglie dei ragazzi più grandi: secondo i 16-18enni”, osserva la Nuova Pastorale, “in famiglia si presta maggior cura alle spese per i prodotti alimentari o di abbigliamento e a quelle non strettamente necessarie; allo stesso tempo sono coloro che affermano di aver rinunciato alle vacanze e che dichiarano le maggiori difficoltà familiari ad arrivare alla fine del mese. Sono, inoltre, i più grandi ad aver visto ridurre la paghetta.
La maggior parte dei ragazzi è consapevole della crisi e decide di aiutare i genitori. Gli adolescenti si dimostrano particolarmente responsabili quando riferiscono di aver adottato una maggiore accortezza nelle proprie spese. In particole il 63,7% ha deciso di spendere meno nell’acquisto di nuove tecnologie, di risparmiare sui soldi spesi con il cellulare, per i vestiti e per le uscite”. Naturalmente non è tutto rose e fiori c’è anche una “mappa” delle inquietudini degli adolescenti. Ci sono dei ragazzi che non si sentano coinvolti e preoccupati per le difficoltà economiche dei propri genitori. C’è poi la paura di non trovare un lavoro da adulti che è largamente diffusa. Ma c’è anche chi rinuncia a farsi troppe domande e disinteressarsi del proprio futuro, facendo emerge un sentimento di distacco dalla corsa alla carriera, in quanto molto ragazzi hanno preso coscienza che non sarà un’istruzione più elevata a cambiare le difficoltà occupazionali che incontreranno.
“Più della metà degli adolescenti non si sente preoccupato dalla possibilità di non potersi in futuro permettere di andare all’Università”, sottolinea nella sua analisi la Nuova Pastorale Giovanile. Il lavoro resta un problema, il lavoro manuale, ad esempio, – che pochi respingono -, può essere svolto ma a certe condizioni: con una remunerazione adeguata, possibilità di creatività nel lavoro e flessibilità d’orario, questi gli aspetti ritenuti decisivi. Nella scala dei lavori all’ultimo posto delle preferenze figurano quelli in cui più comunemente le nuove generazioni trovano facili occasioni di impiego, ma evidentemente di bassa qualità. Pochissimi consiglierebbero ad un amico di fare il telefonista di call center, l’operatore di fast food, o il distributore di volantini. Al limite, a parità di stipendio, meglio l’operatore ecologico che lavori di questo tipo.
“Naturalmente uno degli elementi della qualità del lavoro è il reddito”, si fa presente nell’ultimo “Rapporto Giovani”, “una remunerazione attorno ai 1500 euro mensili è ritenuta un giusto obiettivo da raggiungere alla soglia dei 35 anni in base alla propria formazione. Solo una limitata minoranza indica 2 mila euro o più. Anche tra i laureati la differenza di genere nelle aspettative rimane elevata: meno del 30% delle donne contro il 45% dei maschi pensa che una persona con la propria formazione possa arrivare oltre i 2 mila euro”.
“I risultati ottenuti”, afferma il professor Alessandro Rosina tra i coordinatori dell’indagine, “contribuiscono a superare una serie di stereotipi sul rapporto tra giovani e mondo del lavoro. Quello che le nuove generazioni disdegnano non è di per sé il lavoro manuale – che può essere stimolante e appagante – ma lo sfruttamento e la mancanza di valorizzazione. Quello che temono sono offerte di impiego che intrappolano in condizione di precarietà, in cui impegno e competenze non vengono riconosciute. Senza un miglioramento qualitativo del contributo dei giovani al sistema produttivo, in qualsiasi settore, difficilmente l’Italia può tornare a crescere e ad essere competitiva”.