L’analisi del World Economic Forum, cui facevo riferimento al precedente articolo (https://ladiscussione.com/125388/societa/la-nuova-fabbrica-4-0/ mi suggerisce, tra le righe, oltre ad una lettura di quanto di profondo sta accadendo in Occidente e in Italia, l’esigenza di politiche pubbliche adeguate all’accompagnamento di questa rivoluzione industriale, quindi di costumi e di qualità della vita. Quando parlo di “politiche” intendo esattamente un ventaglio di strategie che diano razionalità al processo e sicuramente fra queste, quella relativa all’occupazione. Un processo di crescita, di civiltà, di profondi cambiamenti degli stili e della qualità della vita non può avvenire contro il diritto al lavoro, con una riduzione occupazionale, contro la dignità dell’Uomo.
Una nuova creatività
Un’economia che sprigionasse la sua creatività in chiave liberistica, senza attenzione all’interesse pubblico, alla società, alle condizioni di vita di chi lavora, segnerebbe forse un’evoluzione scientifica e tecnologica in parallelo a una sicura involuzione sociale. Questa tendenza sarebbe inaccettabile, e l’impegno dei governi pubblici sarà fondamentale per coniugare l’evoluzione dei due fattori, quello scientifico e tecnologico da una parte, e quello sociale dall’altro. Le politiche a sostegno della Quarta Rivoluzione Industriale devono perseguire la crescita del sistema economico-sociale e quindi della base occupazionale, non la decrescita; devono sostenere una delle caratteristiche portanti, anche se implicite, della rivoluzione 4.0: lasciare all’uomo “il compito essenziale di governare le tecnologie, progettare i sistemi, controllare e migliorare i processi produttivi e di conseguenza anche i prodotti e i servizi. Soprattutto di permeare l’azienda di quella creatività che nessuna macchina può dare” (World Economic Forum).
L’automazione
Ma l’automazione continua a sostituire posti di lavoro e quindi a cancellarli, la rapida vetustà dei prodotti e delle tecnologie modifica la preparazione degli addetti, il sistema di formazione in Italia in particolare non è sufficientemente forte, gli addetti alla produzione over 50 rischiano l’emarginazione e la mobilità in misura superiore ai giovani, per ovvii motivi di cultura generazionale e di crescente allontanamento dalla formazione scolastica, il collegamento scuola-lavoro resta debole, la tendenza alle delocalizzazioni imprenditoriali è ridimensionata da qualche anno ma non superata. Credo che le domande sulle quali aprire una discussione siano le seguenti: le politiche pubbliche (infrastrutturali, fiscali, contributive, ecc.) possono favorire la Rivoluzione Industriale 4.0, contrattando con il sistema imprenditoriale contropartite che abbiano a cuore l’equilibrio del sistema-paese, imponendo scelte a tutela dell’occupazione? Lo Stato può imporre alle Imprese, come compensazione agli aiuti pubblici, l’obbligatorietà di reinvestimento di quote importanti di utile d’esercizio certificato? Imporre un freno alle delocalizzazioni, in fase di crescita del prodotto? Imporre un’attenzione e una collaborazione fattiva ai processi di formazione e mobilità del personale? Lo
Riequilibrare lo sviluppo
Stato può pensare alla rivoluzione 4.0 come occasione per riequilibrare lo sviluppo economico e civile dei territori? Per migliorare il controllo sociale dei medesimi con attività più pervicaci e penetranti nel contrasto alla criminalità (maggiore coesione sociale, strade e quartieri meglio illuminati con investimenti virtuosi in project financing a costo zero per l’Amministrazione pubblica, quartieri e città attrezzati con sistemi di controllo smart)? Per esaltare il ruolo del terzo settore in campi delicati come la Sanità, l’Assistenza? Per far buon uso, socializzare e umanizzare la manodopera più povera proveniente dai flussi migratori? Per connettere l’industria figlia di questa rivoluzione ai servizi pubblici locali e nazionali? Per diffondere i sistemi 4.0 nella Pubblica Amministrazione, mediante qualificazione dei gruppi dirigenti pubblici, superamento delle burocrazie parassitarie, diffusione maggiore sul territorio di personale adibito ad attività sociali, preventive e manuali, che manifesti più radicalmente la presenza dello Stato a favore dei beni comuni (forze dell’ordine, verde, dissesto idro-geologico, assistenza agli anziani, edifici pubblici, cultura e turismo, ecc.)? Per affermare una regolamentazione delle attività lobbystiche che produrrebbe un rapporto trasparente e di crescita del circuito “portatori d’interessi/opinione pubblica/decisori pubblici” e dunque dei sistemi informativi e della diffusione della informazione e della cultura scientifica e di specifici settori. Il tutto dentro una rivoluzione industriale, la quarta appunto, incardinata per natura intrinseca sull’asse informazione/sapere scientifico/tecnologie?