La questione fiscale è tornata in primissimo piano nel programma di Governo: e nessun argomento è più divisivo di questo, in un’epoca in cui le ideologie non sembrano più rappresentare un ostacolo insormontabile per governare insieme.
Era inevitabile che, nell’agenda del Presidente Draghi, si prevedesse ad un certo punto di presentare provvedimenti in materia tributaria ai partiti di (necessario) “contorno” all’azione dell’esecutivo.
Quasi scontati i comportamenti dei vari attori in scena. I DS a dire “che bello”, approvando incondizionatamente qualsiasi previsione di maggior prelievo fiscale, con la destra – ovviamente “irresponsabile” secondo la sinistra – ad opporsi a priori, al di là dei problemi reali.
L’inedito è costituito dalle dichiarazioni di Draghi: che per la prima volta si è lanciato in una promessa da “politico”, assicurando gli italiani che l’aumento degli estimi catastali non saranno considerati ai fini fiscali.
Il “centro” moderato si è subito affrettato a dire che ha fiducia negli impegni assunti da Draghi sul non aumento della pressione fiscale (completando così le prese di posizione “politiche”) e finanche Salvini è stato ricondotto a ragione dopo avere incrociato lo sguardo col Presidente del Consiglio.
Posizioni quasi ovvie e vuote, che rendono manifesta l’insipienza politica dei partiti attuali, incapaci di scatti e di soluzioni concrete, interessati soltanto a rassicurare il proprio, sempre più disamorato, elettorato.
C’è una condivisione di base alle nostre latitudini tra la destra – che da noi, non dimentichiamolo, è nelle sue manifestazioni più radicali “sociale” – e la sinistra, che si è alquanto imborghesita dopo la caduta del muro di Berlino fino a rappresentare, nella sua formazione più numericamente rappresentativa, quasi esclusivamente il pubblico impiego con i suoi indubbi privilegi.
Si potrebbe partire da qui, dal comune pensiero che lo Stato – senza il timore tipicamente statunitense di trasformarsi in socialismo reale – debba fornire alla totalità della sua popolazione istruzione, assistenza sanitaria, ammortizzatori sociali e interventi assistenziali in caso di necessità, per pervenire ad una soluzione praticabile ed equa.
Ma anche dalla constatazione che lo Stato incassa danari da ogni attività o scambio che i suoi cittadini compiano. Così un cittadino che ricevendo una retribuzione mensile di € 2.000,00 netti e che, quindi, ha già pagato circa € 15.000,00 di imposta IRPEF, oltre alle ritenute previdenziali, pagherà per le sue spese correnti (elettricità, gas, vestiario, cibo, trasporti, libri, cinema, acquisti necessari) circa altri cinque-seicento Euro al mese per Iva, accise, etc.
Per tacere di tutte le altre imposte “indirette” volute dallo Stato, dalle marche da bollo (residuo medioevale, sconosciuto alla quasi totalità delle altre nazioni) alle imposte dì registro, alla tassa per la TV (che non ha senso per un settore che si alimenta dì pubblicità), al bollo dì circolazione. E ad un sistema dì sanzioni amministrative (così si chiamano le multe per divieto dì sosta e per infrazioni stradali) che non serve ad evitare un comportamento vietato, ma soltanto a fare cassa: è stato il primo articolo dì questa rubrica quasi due anni fa.
Insomma c’è materiale per una autentica riflessione su un sistema, che risulterebbe insopportabile anche ai lavoratori dipendenti, se lo Stato desse la possibilità dì versare a loro per intera la retribuzione lorda, con l’obbligo dì pagare in un momento successivo le imposte come fanno i lavoratori autonomi.
La prima cosa che serve nei rapporti tra cittadino ed erario è l’affidabilità dello Stato, la semplicità degli obblighi e la correttezza, che non si può pretendere solamente dal contribuente.
Così tornando alla dichiarazione dì Draghi, forse il primo Governo utile all’Italia dopo quasi un decennio, manifesto pubblicamente la mia – ovviamente personale – delusione e incredulità: certo per l’influenza su di me di Trilussa che, sulle promesse dei potenti sintetizzava «senza l’ombra d’un rimorso,/ ce faranno un ber discorso/ su la Pace e sul Lavoro/ pe quer popolo cojone…».
Perché non è credibile che se io sono proprietario dì un bene immobile che per lo Stato non vale più cento, ma centocinquanta, pagherò a lungo imposte su cento. Prima o poi si ricorderanno della stima maggiore e applicheranno la relativa tassazione. È nella natura delle cose ed una legge modificabile è una fragile diga.
Non credere allo Stato, la mancanza di affidabili dello Stato, fa venire meno anche la possibilità per lo Stato dì dire ai cittadini più fortunati: c’è questa situazione, tu che hai due lire più degli altri fai un pagamento straordinario e non ti disturberemo più. La così detta una tantum che lo Stato italiano, con un ossimoro sostanziale, ha ripetuto moltissime volte nella sua storia fiscale.
Lo Stato, quindi, ha così tante capacità di entrata che si dovrebbe molto ripensare alle imposte dirette: forse uno Stato moderno, che offre sempre più servizi, dovrebbe concentrarsi più sulle imposte indirette, legate allo stile di vita e a determinati atti e forse più tollerabile di quanto oggi si percepisca come eccessivamente gravoso (lo è) il carico fiscale.
Ma non si può pensare che lo Stato ci dia tutto quello che ci da che, pensateci e siate onesti, è tanto anche quando a noi sembra poco.