C’è un abisso tra il modo di comunicare e di agire di Draghi e quello di Salvini. Misurato, asciutto, concreto e fattivo il Presidente del Consiglio, debordante, contraddittorio, inutilmente polemico e distante dalla realtà il leader leghista. Salvini è oggi isolato sia rispetto all’opposizione di Meloni sia nel Governo anche rispetto a Forza Italia. Un capolavoro di autolesionismo.
Draghi non è persona che si fa prendere in castagna e ha spiegato in lungo e largo che lui non metterà nuove tasse neanche sulla casa, che la riforma del catasto serve soprattutto a far emergere patrimoni nascosti e che non c’è nessuna patrimoniale all’orizzonte Ma Salvini fa finta di non sentire e ripete come un disco rotto le sue polemiche pretestuose. Draghi non può che prendere atto di questo atteggiamento, andare avanti rispettando i tempi delle riforme col sostegno dei tre quarti della maggioranza e non replicare alle polemiche inutili.
Ma cosa vuole davvero Salvini? Vuol forzare i giochi e provocare la crisi di Governo? Giorgia Meloni, che ha il vento in poppa, si è già pronunciata per “spostare” Draghi al Quirinale e aprire la strada del voto in primavera. Salvini teme forse che restando al Governo si indebolirà ulteriormente e punta a frenare la perdita di consensi? Ma confonde il male con la terapia. La Lega perde credibilità proprio per l’atteggiamento ambiguo del suo capo che gioca il doppio ruolo di partito di governo e forza di opposizione seminando confusione tra i suoi seguaci. Singolare, quindi, che il Capogruppo del Carroccio al Senato, Bagnai, dica che la Lega è partito di governo che si sente trattato come se fosse all’opposizione: una forma di proiezione sugli altri della propria colpa.
Anche questa volta dopo le varie bordate sui temi del green pass, il fuoco salviniano sembra destinato ad autoestinguersi. A meno che, disorientato dall’esito deludente del voto amministrativo, il “capitano” non voglia giocare una partita a poker al buio, la seconda dopo quella fallimentare dell’estate del Papeete. Se la Lega si ritirasse dal governo, Draghi disporrebbe comunque di una solida maggioranza in Parlamento. Finendo all’opposizione Salvini darebbe ragione a Meloni che non ha votato la fiducia a Draghi, spaccherebbe il suo partito e perderebbe consenso nella base elettorale di piccole e medie aziende del Nord che dopo un anno e mezzo di blocco dell’economia hanno voglia di lavorare, crescere e riprendersi con tranquillità pensando a cose concrete e non ai mal di pancia dei partiti.