Il 15 settembre e’ stata la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sul Linfoma. Nonostante il linfoma registri un’alta incidenza di diagnosi, la conoscenza su questa patologia spesso e’ frammentata. Negli ultimi anni sono stati fatti grandi progressi per i pazienti con linfomi, una delle neoplasie onco-ematologiche piu’ diffuse in Italia, che ogni anno colpisce circa 15.000 persone nel nostro paese. Sensibilizzare sull’argomento e’ uno degli obiettivi della Fondazione Italiana Linfomi (FIL) della quale anche la divisione di Ematologia del Policlinico Gemelli (direttore di Area: Valerio De Stefano; Dirigente responsabile dell’Unita’ Malattie Linfoproliferative Extramidollari: Stefan Hohaus) fa parte. Quest’ultimo anno e’ stato segnato dall’impatto della pandemia di Covid-19 sulla diagnostica e cura di tutti pazienti con patologie ematologiche ed oncologiche, incluso i linfomi. A margine della Giornata Mondiale di sensibilizzazione contro la diffusa malattia ematologica, fa il punto il professor Stefan Hohaus, dirigente responsabile dell’Unita’ Malattie Linfoproliferative Extramidollari del Gemelli, associato di ematologia dell’Universita’ Cattolica, campus di Roma. Tutti i sanitari si sono trovati e ancora si trovano di fronte a numerose sfide a partire dall’accessibilita’ agli strumenti di diagnostica radiologica e istologica, sono stati in taluni casi influenzati nella scelta dei trattamenti oncologici, ma hanno riscoperto contemporaneamente il valore di alcuni importanti strumenti quali la telemedicina, soprattutto in corso di follow-up. Come confermato da numerose evidenze, i pazienti con linfoma sperimentano spesso una malattia da COVID19 clinicamente piu’ severa, vanno piu’ frequentemente incontro a complicanze e presentano ridotti tassi di sopravvivenza, rendendo questa categoria di pazienti particolarmente vulnerabile. Anche se i pazienti superano la fase acuta dell’infezione Covid-19, un’interruzione della terapia contro il linfoma puo’ significativamente impattare sull’esito favorevole di una terapia salvavita. “A questo proposito – sottolinea Hohaus – la storia di una giovane paziente di 32 anni con diagnosi di Linfoma di Hodgkin classico in uno stadio localmente avanzato, diagnosticato durante la pandemia a giugno 2020. Per tale patologia la paziente intraprendeva la chemioterapia standard con lo schema ABVD. Una valutazione della risposta precoce con l’esame PET-TAC dopo 2 cicli evidenziava una buona risposta con riduzione dimensionale e metabolica. In attesa di completare il programma di terapia in un contesto domiciliare la paziente contraeva il virus Sars-CoV-2 con sintomi da lievi a moderati trattati a domicilio con terapia sintomatica. L’infezione sopraggiunta ci ha costretti a interrompere inevitabilmente sebbene temporaneamente il trattamento e a modificare la terapia, visti i reliquati funzionali a livello polmonare. Alla rivalutazione al completamento del programma di terapia di prima linea, la PET-TAC documentava progressione di malattia, per cui la paziente veniva candidata a terapia di salvataggio con alte dosi e autotrapianto di cellule staminali”. “Nel frattempo – continua il professore – si e’ reso disponibile il vaccino per SARS-CoV-2 con vaccino a mRNA. La paziente e’ riuscita a completare il suo programma di vaccinazione in assenza di disturbi e ottenendo un titolo anticorpale significativo, cosa che ha permesso a noi curanti e alla paziente di affrontare il percorso di autotrapianto con maggiore serenita’. La degenza si e’ svolta senza complicanze particolari e la paziente ha ottenuta una remissione completa della malattia e sta bene. Il racconto di questa esperienza e’ uno dei tanti esempi di come la pandemia nella sua fase iniziale ha impattato sulla gestione del paziente con linfoma, mettendo a rischio il buon esito del trattamento. Grazie alla vaccinazione contro il SARS-CoV2 la situazione e’ molto migliorata, ma rimangono ancora alcune categorie di pazienti con linfoma a rischio di infezione grave da COVID19 nonostante la vaccinazione”. In uno studio in corso, che vede la collaborazione fra i medici dell’Area di Ematologia, in particolare le dottoresse Silvia Bellesi ed Elena Maiolo e i colleghi della microbiologia (professore Maurizio Sanguinetti, Dottoressa Michela Sali) e’ stato dimostrato che i pazienti vaccinati con vaccini a mRNA in corso di chemioterapia combinata con immunoterapia contro i linfociti B solo raramente sviluppano una risposta anticorpale (“5% dei casi), mentre la maggior parte dei pazienti vaccinati in corso di terapia citotossica, come nel caso clinico descritto, riescono ad ottenere un titolo anticorpale significativo nella maggior parte dei casi, sebbene con livelli di anticorpi inferiori rispetto ai soggetti sani di pari sesso ed eta’. “Oltre a mantenere alta la soglia di attenzione, continuando ad applicare rigorosamente e scrupolosamente le misure sociali di contenimento del virus (distanza sociale, uso della mascherina, igiene delle mani) e’ pertanto opportuno – evidenzia Hohaus – sollecitare l’esecuzione della vaccinazione anti COVID19 nel paziente prima di intraprendere una chemio-immunoterapia e questo e’ tanto piu’ vero quanto piu’ indolente e’ il carattere del linfoma. Il controllo della pandemia grazie alla campagna di vaccinazione, ci permettera’ di focalizzare nuovamente la nostra piena attenzione ad un percorso terapeutico ottimizzato nel paziente affetto da linfoma, non dovendo piu’ distogliere lo sguardo dai nostri principali obiettivi di cura”.