La bandiera talebana s’è innalzata coincidenziale l’11 settembre: sancisce di fatto l’avvio formale del nuovo governo, nel giorno della conquista della capitale afghana; sventola bianca sul palazzo presidenziale, e riporta un versetto coranico: la shahādah, espressione ultima della testimonianza di fede musulmana, issata dal mullah Mohammad Hassan Akhund, il primo ministro – come riportato dal portavoce e capo della commissione culturale talebana, Ahmadullah Muttaqi.
IN NOME DEL TAWHID
«Testimonio che non c’è nessun dio, al di fuori di Dio e testimonio che Maometto è il profeta di Dio.» quale cardine tra i cinque pilastri di devozione islamica ed emblema del concetto di tawḥīd: dell’unicità di Dio; in nome del quale non sarà più tollerata “un’educazione congiunta” tra i due generi, con l’obbligo dello hijab per le donne nelle università afghane. In nome di quella stessa unicità di Dio “ossessiva” – così la definiva Simone Weil – che offusca la ragione ed antepone il fondamentalismo islamico alla vita.
I SERVI DEL POTERE
È infatti quasi lapalissiano ritenere che il radicalismo musulmano non si costituisca in funzione della vita, e che esattamente al contrario sia la vita stessa ad esser schiava del fondamentalismo. L’opposto di ciò che si presume sia l’assunto del fulcro religioso. Il rovesciamento è dirompente eppure, nei suoi termini, sottile. Infatti per il cristianesimo Dio serve gli uomini senza per questo esserne servo – è uno e trino, mantenendo la sua foce spirituale. Al contrario il fanatismo degli studenti coranici impone ai fedeli l’annientamento nelle vesti materiali ed ancor più nella vita attiva, dunque nelle implicazioni psichiche e pratiche, rendendoli completamente asserviti al Dio: che lo servono essendone servi.
LA RELIGIONE SI SVUOTA DELLO SPIRITO
Una lettura che si riempie di sé stessa – e più che sulla volontà divina, pone le sue fondamenta su quella di chi la legge: degli estremisti talebani. Una lettura della religione che snatura la sua essenza di spirito, per diventare strumento di potere coercitivo e terreno. Affine alla visione di Weil che scorgeva in quegli stessi tratti di fanatismo monoteista, la creazione di menzogne per fini di autoaffermazione personale o sociale – in questo caso, politica– in netta antitesi con il suo amore per i principi della grecità: l’onestà, l’assenza di menzogna che è l’inganno supremo che compiamo verso noi stessi, da cui derivano le forme più alte e mai replicate di verità e bellezza.
LA COERCIZIONE ANNIENTA VERITA’ E BELLEZZA
Perché dove c’è menzogna e disonestà, dove c’è coercizione e mancanza di libertà – non nascono verità e bellezza, affluenti emblematici di spiritualità e baluardi del libero arbitrio. Le tenebre della mente si esplicano anche nella loro rappresentazione materiale: nell’imposizione del velo islamico che nasconde i tratti, di bellezza e verità.