Un team internazionale di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Università di Tel Aviv (Israele), del Council for British Research in the Levant (CBRL) e dell’Università della California di San Diego (USA) ha analizzato ceramiche e selci provenienti da quattro siti archeologici in Giordania. Il gruppo di ricerca ha scoperto che tra 10.000 e 8.000 anni fa l’intensità del campo magnetico nella regione del Medio Oriente era tra le più deboli dell’Olocene e più bassa o simile al campo magnetico del presente. Un campo magnetico debole implica un indebolimento dell’effetto di schermatura delle radiazioni solari con una maggiore penetrazione delle particelle energetiche solari e dei raggi cosmici verso la superficie terrestre. Il nuovo studio approfondisce la nostra conoscenza del campo magnetico nel passato per comprendere il comportamento del campo magnetico attuale, caratterizzato da un marcato indebolimento. I risultati dello studio “The strength of the Earth’s magnetic field from Pre-Pottery to Pottery Neolithic, Jordan” sono stati pubblicati sulla rivista PNAS.
“Il campo magnetico terrestre – spiega Anita Di Chiara, ricercatrice INGV e coautrice dello studio – è cambiato in modo significativo in passato. Set di dati accurati del passato forniscono uno strumento in più per comprendere il presente, nonché un valido metodo di datazione che può essere utilizzato in alternativa al metodo del radiocarbonio”.
“Sono state esaminate ceramiche e selci – prosegue Di Chiara -datate poi attraverso il metodo del Carbonio 14 (radiocarbonio) e studiate attraverso tecniche di paleointensità volte a definire l’intensità del campo magnetico del passato. Dalla selce, infatti, venivano ricavati oggetti di pietra, come per esempio le punte di freccia o le lame, utili per la caccia. Per far ciò, gli uomini antichi li lavoravano con il fuoco per renderli appuntiti e quando questi materiali si sono raffreddati, i minerali magnetici in essi contenuti si sono orientati con il campo magnetico all’epoca esistente che, in tal modo, si è ‘registrato’ negli utensili analizzati. Noi siamo andati alla ricerca di questa informazione ‘impressa” scoprendo che nel sito più antico, risalente a 10.000 anni fa, il campo magnetico era simile o più’ basso del campo magnetico presente”.
“Questo risultato – aggiunge la ricercatrice – è importante perché anche il campo magnetico attuale è quasi il più basso dell’Olocene (epoca geologica corrente). La metodologia di ricerca impiegata fornisce uno strumento di datazione molto potente perché qualunque oggetto di cui non sappiamo l’età archeologica, può essere analizzato con la tecnica del paleomagnetismo e dell’archeo intensità: con la definizione di una curva di variazione di intensità del campo magnetico per le ultime migliaia di anni è possibile ascrivere gli oggetti ad un determinato periodo archeologico. Tale aspetto è particolarmente utile ai ricercatori del clima e dell’ambiente anche perché l’intensità del campo magnetico attuale mostra una tendenza decrescente”. Lo studio attraverso la tecnica della paleointensità unita all’archeologia si chiama archeomagnetismo. “La ricerca continua – conclude Di Chiara -. Raccoglieremo ulteriori dati su questi siti al fine di estendere la curva delle variazioni di intensità del campo terrestre nel passato, anche attraverso l’analisi degli oggetti in pietra, utilizzati da molto prima della ceramica”.