La valle del Panjshir, a nord di Kabul, quale ultimo baluardo della resistenza afghana, è stata assediata dai combattenti talebani, che si dicono pronti – attraverso Inamullah Samangani, membro della commissione culturale talebana – ad annunciare il nuovo governo, dopo tre settimane di gestazione nella forsennata lotta al potere. Sono migliaia gli abitanti sfollati a causa dell’avanzata jhadista nel villaggio di Anabah, a 25 km dall’ingresso della valle che ne conta in totale 115.
Il principio di coscienza e conoscenza
Intanto Ali Maisam Nazary, portavoce della resistenza seppur lontana dalla valle, ha reso noto che le milizie che combattono i Talebani “non cederanno mai”; conferendo alla condizione del resistere una categoria metafisica prima ancora che politica. Poiché – lo sappiamo bene – la resistenza rappresenta un ideale prima di essere una necessità. È forse l’unico stato delle cose, dei fatti che ha bisogno di essere pensato, maturato; e soltanto in seguito a questa interiorizzazione, ad una precisa convinzione d’intenti, può essere concretamente applicato. La resistenza è uno stato dell’anima: un principio di coscienza e di conoscenza.
Il rischio di crisi umanitaria
E nonostante vi sia il rischio di “una crisi umanitaria su larga scala” dato lo sfollamento degli abitanti secondo Ahmed Massoud che guida la resistenza anti-talebana – il principio permane e si fortifica. È questa la forza del principio di resistenza: è irriducibile in quanto tale ed ogni scalfittura non può che fortificarne ed accrescerne l’essenza e dunque il potere. Infatti la valle del Panjshir non cadde mai in mano ai sovietici durante l’invasione degli anni ’80, né ai talebani durante la guerra civile degli anni ’90 – ed ancora si proclama pronta alla strenua resistenza.
Non è tutto perduto
«La nostra patria è in catene. Tutto è perduto? No. Ho ereditato da mio padre, l’eroe nazionale e comandante Massud, la sua lotta per la libertà degli afghani. Questa lotta è ora mia, per sempre» aveva detto il figlio del “Leone del Panjshir” Ahmed Shah Massoud ucciso dai talebani nel 2001, il 16 agosto scorso – d’accordo con il vicepresidente Amrullah Saleh, autoproclamatosi presidente ad interim dell’Afghanistan il giorno seguente. E se nella condizione del resistere è insito un principio consapevole – e non incosciente – di invincibilità, allora benché si profilino quasi certe le previsioni di sconfitta, è ipotizzabile che, in realtà, il Paese non sia ancora del tutto sotto il controllo degli studenti coranici.