Nei discorsi sotto l’ombrellone, superato il Ferragosto, con l’evidente influenza psicologica di un imminente rientro alla “normalità”, torna a prevalere il tema del Covid 19, o di quello in cui il virus si è nel frattempo trasformato. Con una serie di varianti anche argomentative, rispetto all’anno scorso. Ferma la rassegnata consapevolezza che l’autunno, nonostante la consistente vaccinazione della popolazione italiana, porterà a nuove restrizioni, il tema della discussione sembra, infatti, incentrarsi sul Green pass e sull’obbligo vaccinale.
Temi troppo grossi per questa rubrica, che si limiterà a registrarli e, magari, ad enunciare, senza avere la pretesa di risolverle, alcune problematiche che da essi derivano.
I due temi sono tra di loro strettamente connessi e si autoalimentano, sia in un senso che nell’altro.
L’obbligo del Green pass dà luogo a grosse problematiche giuridiche. In alcuni Stati dell’Ue è stato giudiziariamente rifiutato. Così in Spagna, dove numerose Corti giudiziarie lo hanno dichiarato illegittimo. Per inciso, mentre cercavo di comprendere le motivazioni di tali conclusioni, mi è stata fatta una intelligente osservazione: in Spagna il ricordo del franchismo è vivo e ancora brucia e certe libertà non possono essere messe in gioco; un po’ come se un lasciapassare fosse stato richiesto nel dopoguerra in Italia: i vari “Peppone” sarebbero corsi a tirar fuori le mitragliatrici dal fienile, pronti a ritornare sui monti.
Il Green pass era nato come la “patente” che avrebbe dovuto garantire dal virus: se in un luogo tutti hanno il “passaporto sanitario” possono stare tranquilli. Da qui le proteste di chi quel documento non poteva avere ed i dubbi sull’immunità effettiva conseguita. Dubbi alla fine ammessi anche dai virologi di Stato, con la concessione – ferma restando l’indubbia utilità della vaccinazione (in cui il sottoscritto crede, è bene chiarire subito) – che il Green pass ha soprattutto l’intento di convincere i più restii a vaccinarsi.
Argomento che comporterebbe l’ipocrito aggiramento dell’obbligo vaccinale. Obbligo che, probabilmente, politicamente non troverebbe in Parlamento il consenso necessario, ma che – come tutta la materia di restrizioni sanitarie prolungate, del resto – potrebbe anche risultare illegittimo.
Così che il sospetto di un “imbroglio” da parte dello Stato, dubbioso sull’imposizione, ma subdolo con la dichiarata sviata finalità del Green pass, è forte e si alimenta col pasticcio della trasposizione in italiano della Direttiva UE 953/2021 in materia. Nella quale, nella prima versione “ufficiale” in italiano, erano state omesse nel paragrafo 36, recante la necessità di evitare discriminazioni verso cittadini europei che non sono vaccinati per necessità di natura clinica, di opportunità, di target group esentato, la precisazione di «chi per scelta non è vaccinato», presente nel testo ufficiale delle altre lingue ufficiali. Mancanza che ha comportato una rettifica pubblicata sulla Gazzetta ufficiale UE, ma che non sarebbe stata tenuta in considerazione nei decreti subito emanati in Italia.
Insomma avrebbe fatto il suo esordio in Europa quella “manina”, ben nota nella tradizione italiana dell’ultimo decennio e che spesso ha determinato mutamenti sostanziali nelle leggi.
Ciò è che ha ispirato questa settimana “il cittadino” è, quindi, non il dibattito che fin qui abbiamo cercato di sintetizzare, quanto la “costante” di questi discorsi: il non credere allo Stato, la sensazione netta, diffusa in entrambi i partiti dell’obbligo e del non obbligo, che le informazioni, per il vero contraddittorie, che ci vengono date sulla materia siano manipolate.
Così la notizia di questo fine settimana, che la Sicilia abbia in extremis “migliorato” i suoi dati al punto da meritare il mantenimento della zona bianca, è stata avvertita come ovvia, ritenute le conseguenze sul turismo ed il pericolo di fughe di massa dall’isola. Cioè si è generalmente ritenuto, nel più benevolo atteggiamento, che i dati fossero stati interpretati ad arte.
I cittadini, destinatari di questi dati, in buona sostanza li ascoltano, ma non ci credono fino in fondo.
Una mancanza di credibilità e di fiducia che non è limitata all’emergenza Covid, ma che si estende anche ad altri settori. E che non è soltanto un problema di comunicazione.
Se ciò avviene all’epoca del Governo Draghi, che gode di ampli consensi e di credibilità persino nazionale (quella internazionale è più ovvia), non oso immaginare cosa avverrebbe con un governo solamente politico.
Il punto è che a un “politico” è lecito (fino a un certo punto…) fare promesse immantenibili, ad un governante no.
Questo era un principio ben conosciuto è tenuto presente fino a qualche decennio addietro. Oggi, nell’era della campagna elettorale permanente e dei social sempre aperti è scomparso. Così anche chi è al Governo spesso straparla, con l’effetto di trasfondere sull’esecutivo quel rifiuto generalizzato (e molto qualunquista) della “politica”.
Credo sia ora che il Governo lavori per riaffermare il rapporto di fiducia, lasciando le lusinghe elettorali, con le conseguenti immantenibili ai segretari di partito, da tenere rigorosamente lontani dall’esecutivo: i poteri dello Stato, più sono autonomi, meglio funzionano; l’autonomia non è una prerogativa del solo potere giurisdizionale.