domenica, 17 Novembre, 2024
Considerazioni inattuali

La fu Repubblica Democratica dell’Afghanistan (delle donne)

Durante la prima conferenza stampa del portavoce dei talebani immediatamente successiva alla presa al potere – le donne afghane manifestavano davanti al palazzo presidenziale munite di cartelli in difesa dei loro diritti, richiedendo il riconoscimento di un ruolo nella vita pubblica: “There are afghan women”, Le donne afghane esistono, Ci sono le donne afghane recitano i cartelli.


L’AFGHANISTAN PRIMA DEL 1994
Quelle donne che fino a trent’anni fa esistevano appieno: in un governo laico e socialista dedito alla modernizzazione del Paese, la Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Quelle donne che per quell’esperimento di socialismo simboleggiavano l’architrave: nelle università e nelle scuole, ricoprendo cariche pubbliche, da ministre e soldatesse. Le stesse donne che vediamo bellissime, dagli occhi profondissimi: neri e sorridenti nelle foto degli anni ’80 camminare con le gonne ondeggianti appena oltre il ginocchio ed i libri tra le braccia; o quelle cortissime: le mini degli anni ’60 e ’70 e la borsetta a tracolla in tinta ed il taglio di capelli più sbarazzino – chiome folte e scure che non si vedono più. Da troppo tempo ormai ci offrono soltanto gli occhi – sempre profondissimi – ma spenti, fermi, disillusi, senza neanche più le suppliche dentro.


LA CONDIZIONE FEMMINILE
Grazie ad una lettura estremista della sharia, oggi quasi l’intera popolazione femminile è analfabeta, un burqa ne ricopre completamente i corpi ed i volti ad eccezione di quei pozzi neri, quegli occhi svuotati persino delle lacrime: al posto del loro luccichio, il colore è inaridito, come ricoperto dal catrame. L’opinione delle donne non conta pubblicamente e nell’ambito privato di ciascuna; nessuna di loro può lavorare o far nulla ammenoché il mahram (l’uomo del nucleo) glielo permetta.


LA CADUTA DI KABUL
E ad oggi in seguito al ritiro delle truppe americane dopo vent’anni di intervento militare e alla caduta di Kabul, i talebani hanno riconquistato in meno di un mese il potere, raggiungendo città dopo città. Il presidente Ashraf Ghani è fuggito, lasciando migliaia di civili in condizioni tragiche: accampati negli spazi aperti di Kabul o pronti a morire aggrappati alla coda di un aereo nella folle speranza di strapparsi via all’atrocità certa. Quella che hanno vissuto e vivranno sotto il comando dei talebani; il gruppo di “studenti” pashtu (questo il significato del termine, dalla lingua: la seconda più parlata in Afghanistan dopo il dari) che nel 1994 a Kandahar diede vita ad una nuova formazione di 50 giovani che avevano studiato nelle madrasse, le scuole coraniche pakistane, con la volontà iniziale – se tale può davvero definirsi – di ripristinare pace e sicurezza dopo il ritiro dei sovietici.


QUANDO LA STAMPA CHIAMAVA FREEDOM FIGHTERS I TALEBANI
A quel tempo i mass media occidentali che avevano urlato all”’occupazione sovietica”, definivano i talebani “Freedom fighters”: guerrieri della libertà, ben lontani dall’immagine di terroristi a noi ben nota. Un’immagine, quella di liberatori, che una parte dell’Italia e dell’Europa continuò a sostenere, pur di schierarsi contro quella che veniva descritta come “l’invasione russa”- nonostante i crimini di guerra dei Mujaheddin e lo scempio cui era stata ridotta la condizione femminile, resa nota immediatamente dopo la presa di potere.


LE DONNE INVISIBILI STRAPPATE ALLA VITA
Le lavoratrici dell’Afghanistan strappate dai loro ruoli, dai rispettivi titoli e segregate in casa, non esistevano più: per il loro Paese, per il mondo tutto – nelle loro stanze senza finestre, nei loro passi senza rumore: perché costrette a portare scarpe silenziose; nei loro corpi linciati per aver esposto un braccio o una caviglia; nelle loro cariche prestigiose e prive d’improvviso di qualunque valore. Il tasso di suicidi tra le donne era ormai divenuto altissimo ed in uno dei pochi ospedali che ne accoglievano, la maggior parte di loro si lasciavano morire d’inedia, mentre le altre – ormai colte dalla follia – restavano inermi rannicchiate sul suolo, stravolte da un trauma incurabile; dallo strappo del bene più prezioso: quello della dignità umana.

 

LE DONNE AFGHANE CI SONO ANCORA
Oggi quelle donne, le Afghan women ci sono ancora – come scritto sui cartelloni di protesta – non sono spente, rivogliono lo spirito che quell’inferno ha loro rubato per mezzo di tutta la violenza possibile: figlia dell’ottusità più bieca, nutrimento della fame di potere esercitata dalla commistione tra demenza, malvagità, estremismo ed invidia: quella nei confronti delle donne. Le donne afghane adesso hanno la forza di pretendere e mostrare quello spirito, non possono e non vogliono più rannicchiarsi sul suolo – ma in piedi ed insieme chiedono ciò che di diritto dovrebbero avere: uno stato di coscienza spirituale, sostanziale, etico… la possibilità di diventare ciò che sono.

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