Se provo a sospendere nel vuoto il concetto di malìa, l’arte di ammaliare appunto e concepirne l’emblema, non posso che pensare a Circe, la maga dell’Odissea omerica: dea trasformatrice e misteriosa. Ecco forse perché tendiamo ad associare più facilmente l’idea di mistero, di intrigo che affascina cangiante e multiforme alla sfera femminile; e continuiamo, per quanto arcaico, a rivolgere la mente a quel modello. Eppure, per ciò mi riguarda e in disparte da viete attribuzioni di genere, ho sempre ritenuto profondamente affascinante proprio l’esatto opposto: la spontaneità, l’insicurezza in un carattere forte, i suoi contrasti silenziosi che si fondono armoniosamente; ben lontani dall’irretimento roboante che sopisce i sensi per conquistare il consenso.
LA NON-CONQUISTA CHE IRRETISCE
Non ho mai ritenuto soddisfacente la conquista esercitata tramite un incantesimo: l’incanto del prossimo; ho sempre preteso, di contro, la piena consapevolezza: la completa lucidità della mente e la forza dello spirito – per rispondere all’esigenza di essere totalmente riconosciuta per chi sono. Mai scambiata per altro e adorata in forza di un equivoco, dell’ambiguità di quello scambio. E’ forse questa – mi chiedo, retorica – la vera conquista? E dunque quella confacente alla malìa e all’incanto – per secoli attribuita nell’immaginario collettivo all’universo femminile – non ne è che una pallida imitazione poco durevole nel tempo, caduca ed effimera perfino per il fine perseguito? La piena conquista non sta proprio nella scelta ponderata e consapevole dell’altro – che non irretisce, bensì innamora con la sincerità della sua sostanza?
LA VERITA’ E’ SILENZIOSA
Quella sostanza che non ha nulla a che fare con giochi, apparenze, intrighi ‘amorosi’ ma con il desiderio più puro del bene per l’altro – che riempie e sostanzia, appunto, prima di tutto chi lo genera. Victor Hugo ammoniva, perentorio: “Guai a chi avrà amato solo corpi, forme, apparenze” perché “la morte gli toglierà tutto. Cercate di amare le anime: le ritroverete”. Le anime, le sostanze appunto, che sono fatte di sussurri, che non urlano il loro carisma, le loro conquiste poiché non ne hanno bisogno: ma che pretendono di essere amate e comprese nel silenzio della verità che ne caratterizza l’essenza; intensa e quieta al contempo. Come accade per “l’intensità della delicatezza, quel saper suonare piano e intenso cui invitava Toscanini: il lusso meraviglioso che regala la musica” che per il Maestro Riccardo Muti “è anche un modo di vivere; sentire la semplice, abissale differenza che passa fra urlare ti amo o sussurrarlo”.