Le polemiche a colpi di post tra Renzi e la coppia leader degli influencer italiani ha fatto emergere uno dei tanti problemi della democrazia contemporanea: la fine del ruolo degli opinion leader, la potenza di chi ha più follower e il modo sbagliato con cui la politica si rivolge a quel mondo.
Negli anni cinquanta due sociologi, Lazarsfled e Katz, elaborarono una suggestiva teoria della comunicazione: l’informazione dai mass media non arriva direttamente al popolo, ma passa attraverso personalità di cui la gente si fida.
Costoro filtrano le informazioni, le elaborano e poi le inoltrano al loro pubblico. Si chiamano opinion leader e sono considerati tali per la loro autorevolezza, conoscenza della materia e preparazione. La teoria ha subìto varie evoluzioni ma ha aiutato a capire che il pubblico non è mai una spugna che assorbe tutto quello che i media propinano, proprio perché in mezzo ci sono dei filtri ritenuti attendibili.
La disruption dei social
Poi sono arrivati i social che hanno sbaraccato tutto. Al posto di opinion leader sono nati gli influencer, che raccolgono milioni di seguaci ai quali fanno arrivare in tempo reale ogni sorta di messaggi sicuri che i follower li leggeranno e ne terranno conto.
La differenza è che gli opinion leader erano tali perché la credibilità se l’erano conquistata sul campo dimostrando di essere in grado di capire meglio della gente comune problemi complessi. Gli influencer non devono dimostrare niente: la loro autorevolezza non si pesa ma si conta sulla base del numero dei follower raccolti con un lavoro scientifico non certo basato su opera di convinzione. Così va il mondo e ognuno è libero di mettersi al seguito di chi vuole. Ma nessuno aveva mai immaginato che ci potesse essere un risvolto politico del ruolo degli influencer. Come tutti i cittadini anche loro hanno totale libertà di esprimere le loro opinioni, con la piccola differenza che ogni loro post raggiunge in tempo reale una massa di milioni di persone.
Le tentazioni della politica
È vero che l’influencer non deve identificarsi troppo con una parte politica se non vuol perdere followers che hanno differenti visioni politiche. Ma su singole battaglie sicuramente ha un potere enorme di condizionamento per una fetta consistente di opinione pubblica. Un potere di penetrazione molto più forte ed efficace di quello di un qualsiasi leader politico.
Cosa fare? Nulla. La libertà di espressione non si deve mai toccare. Ogni influencer faccia l’uso che crede del suo pulpito, rispettando le leggi esistenti e i principi normali della convivenza civile.
Ma il problema sono i politici. Le incursioni degli influencer in politica preoccupano eccessivamente alcuni leader. E perché mai un politico si dovrebbe occupare di quello che fa un influencer? Ognuno faccia il proprio mestiere. Il politico può garbatamente interloquire con qualsiasi commentatore che esprima opinioni, a prescindere dal numero di lettori del giornale o del salotto tv o del blog dove queste idee vengono espresse. Sfidare un influencer a colpi di post non è dialogare con un opinion leader ma un inutile sfoggio muscolare peraltro perdente perché la partita si gioca su un campo in cui il politico parte sconfitto.
La politica fa bene a informarsi di ciò che scrivono gli influencer per avere un’idea dei messaggi che vengono inviati a milioni di persone. Fa bene anche a usare i propri social per essere in contatto diretto con il maggior numero di persone motivate possibile. Ma ognuno a casa propria. Con un sano senso della misura.