Salvini si è schierato a fianco dei radicali per la raccolta di firme e l’eventuale campagna su sei referendum in tema di giustizia. Si tratta di una doppia svolta per la Lega: scoperta del garantismo e passaggio al movimentismo, insolito per un partito di governo.
È una strana coincidenza.5 Stelle e Lega, i due partiti più intransigenti sulla rigida applicazione delle leggi nel quadro di una visione salvifica della via giudiziaria, si sono improvvisamente ricreduti. I maliziosi collegano questa svolta alle vicende che hanno investito il figlio di Beppe Grillo, il leader del Carroccio e vari personaggi dell’entourage leghista. E che hanno fatto toccare con mano alcune delle tante anomalie delle norme penali e della loro distorta applicazione. Come che sia, ciò che conta è il risultato. Che è positivo.
Di Maio ha chiesto scusa abiurando la gogna giudiziaria come strumento di lotta politica. Salvini sceglie l’arma del referendum, pur essendo partito di governo, per chiedere l’abrogazione di norme in tema di responsabilità civile dei giudici, separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti, custodia cautelare, abrogazione del testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo (legge Severino), abolizione raccolta di firme lista magistrati, voto per i membri non togati dei consigli giudiziari.
Salvini addirittura chiede a Di Maio di correre a firmare per i referendum, dopo aver subìto durante il governo giallo verde l’impostazione giustizialista dell’allora Ministro Bonafede.
Certo ne è passata acqua sotto i ponti dal quando nel 1993 il deputato leghista Luigi Leone Orsenigo brandiva un cappio nell’aula di Montecitorio. Erano i tempi di “Roma ladrona” e di una visione manettara e tribale della giustizia che è rimasta tale per decenni. Poi tante cose sono successe ma finora mai la Lega aveva fatto una netta scelta garantista.
Ben vengano dunque anche i referendum anche se suona strano che un partito di governo invece di fare le proprie battaglie a Palazzo Chigi e in Parlamento scelga le piazze Vedremo nel tempo se si tratta di una scelta irreversibile, se alle parole seguiranno i fatti. Certo, se la lotta politica smetterà di far leva sulle inchieste giudiziarie sarà un bel passo avanti verso una migliore civiltà della nostra democrazia. E, forse, toglierà a qualche magistrato superficiale l’incentivo a “sbattere il mostro politico” in prima pagina.