venerdì, 22 Novembre, 2024
Politica

L’ambiguità che non giova a Salvini

Il doppio gioco del leader leghista, uomo di lotta e di governo, non gli farà guadagnare consensi ma renderà confusa l’identità del suo partito. Salvini decida: se sostiene Draghi non può criticarne ogni giorno le scelte e fare comunella con coloro che osteggiano una più forte integrazione europea per la quale Draghi si batte.

Quante “Leghe” esistono nella mente di Salvini? Probabilmente una sola, anche se lui recita due parti in commedia. La Lega con cui Salvini si identifica è quella che ha costruito nel corso di 8 lunghi anni, da quando è diventato segretario facendo fuori prima Bossi, poi Maroni e Tosi e mettendo in un angolo i leghisti della prima ora.

Si tratta di una Lega che poco o niente ha a che vedere con quella che Salvini ereditò, con un magrissimo 4% e un’immagine segnata dalle inchieste sul fondatore, i suoi familiari e varie figure, come il cassiere Belsito.

 

PARTITO NAZIONALISTA DI DESTRA

Salvini ha trasformato da subito l’identità del partito mettendo da parte il federalismo e sventolando lo stendardo del nazionalismo sovranista, puntando a conquistare anche quel Sud che non era mai stato sensibile alle sirene di Bossi. Per operare questa rivoluzione Salvini ha rottamato tutto il vecchio gruppo dirigente, ha cancellato i riti e gli slogan nordisti. Ha trasformato la Lega in una forza di destra anti-eruopea, legata a Marine Le Pen, a Geert Wilders, a Victor Orban e a Mateusz Morawiecki: compagni di viaggio on cui Bossi non avrebbe avuto niente a che fare.

Negli anni in cui montava la rivolta delle piazze aizzate da Grillo, Salvini si ritagliò un suo spazio altrettanto dissacrante e volutamente provocatorio. La sua Lega saltò in groppa al risentimento di strati sociali produttivi del Nord e parassitari del Sud, ostentò disprezzo verso il politically correct ricorrendo ad un linguaggio crudo e irriverente e, soprattutto , fece propri due cavalli di battaglia: l’immigrazione e il tema dell’ordine pubblico.

 

ASCESA E DECLINO

Un cocktail che gli ha fatto guadagnare voti portando la Lega al 17% delle politiche del 2018 e al raddoppio nelle elezioni europee del 2019. Ma è stato proprio quello straordinario successo a segnare l’inizio di un declino che ha fatto perdere a Salvini 10 punti in soli due anni. Avendo esagerato nella folle estate del Papeete con le sue richieste di pieni poteri e l’onnipresenza mediatica Salvini si è ritrovato solo, privo dei 5 Stelle, passati con Conte all’alleanza col Pd e con un alleato, Giorgia Meloni in costante crescita: nel 2014 prese il comando di Fratelli d’Italia con un risicato 3,66%. e l’ha portata negli ultimi sondaggi a circa il 18% a 5 punti dalla Lega.

 

LA CONCORRENZA CON GIORGIA MELONI

Questa concorrenza non fa dormire sonni tranquilli a Salvini che si sente stretto anche nel trovarsi in maggioranza con Pd e 5 Stelle a sostegno di Draghi. Fosse stato per lui, sarebbe volentieri rimasto all’opposizione. Ma avrebbe perso la guida del partito perché il “blocco sociale” del Nord, vero pilastro del consenso leghista, era schierato a favore di Draghi e di chi, come Giorgetti voleva a tutti i costi la Lega nel governo di unità nazionale. E così Salvini, dalla sera alla mattina si è travestito da europeista, sostenitore dell’Euro, della Bce , rispettoso verso la Commissione Europea e perfino moderato nel linguaggio. Ma è durata poco.

A Salvini quelle maschere stanno strette. A parole dichiara il suo sostegno pieno a Draghi ma non perde occasione per dire che lui vorrebbe che il Governo facesse il contrario di quello che ha appena deciso col placet dei ministri della Lega.

Ben più lineare è invece Giorgia Meloni il cui consenso cresce anche per una linea politica coerente e più “equilibrata” di quella di Salvini.

 

COMPAGNI DI STRADA OSTILI ALL’INTEGRAZIONE EUROPEA

L’ambiguità del leader leghista, uomo di lotta e di governo, non gli farà guadagnare consensi ma renderà confusa l’identità leghista. Andare alla corte di due leader antieuropeisti e antidemocratici, Orban e Morawiezci non giova all’immagine di una Lega che dovrebbe rappresentare la destra moderata in Italia e contrastare Giorgia Meloni riverita e stimata in Europa. Meloni è l’unica leader a guidare il proprio partito in Italia e un partito europeo a Strasburgo, come Presidente dei Conservatori e Riformisti che ha preso le distanze dal Front National alleato della Lega nel gruppo Democrazia e identità meno euro-atlantico del partito di Meloni e più accondiscendente verso la Russia.

Salvini decida: se sostiene Draghi non può criticarne ogni giorno le scelte e fare comunella con coloro che osteggiano una più forte integrazione europea per la quale Draghi si batte. Né può fare il filo-americano e continuare a tenere rapporti privilegiati col partito di Putin…

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