giovedì, 21 Novembre, 2024
Il Fisco e la Legge

Fisco, condoni e iniquità

Il difficile rapporto tra Stato, cittadini e imprese. Il labirinto di norme e numeri che genera rassegnazioni. È il tema centrale per ogni società civile, è alla base del rapporto tra cittadino e Stato. È garante della equità e di una sinergia di collaborazioni, tra il singolo e le istituzioni. Si tratta di una parola al centro di mille dispute, il “Fisco”. Lievito della organizzazione sociale ma anche della sua avversione. Apprezzato o detestato il suo ruolo è comunque il baricentro di ogni relazione tra cittadino e la sua Nazione.

Nasce così da queste considerazioni la rubrica mensile: “Il fisco e la legge”, con Paolo de’ Capitani di Vimercate, esperto di eccellenza di questioni finanziarie e giuridiche, socio dello studio legale Uckmar.

 

Iniquità e condoni

Il nostro sistema tributario è caratterizzato da una serie di trattamenti specifici, esenzioni, esclusioni e salvaguardie ed eccezioni, incentivi e disincentivi tali che senza computer e banche dati nessuno potrebbe più dominarlo. Nonostante ci piaccia pensare il contrario, è così anche all’estero: basti pensare che il codice tributario americano sfiora i 10.000 articoli, senza contare le “regs.” e le guidelines, o l’impatto della giurisprudenza. In parte, è il diretto riflesso dell’articolazione delle nostre società e dello sviluppo dell’economia, che porta il Fisco a dotarsi, e dotarci, di regole sempre più dettagliate, appunto per star dietro a una realtà complessa.

In buona parte, tuttavia, la complessità del “sistema”, e ci risiamo, dipende dal fatto che da molto tempo il Fisco non serve più solo per recuperare risorse, né solo per redistribuire la ricchezza e favorire eguaglianza e mobilità sociale, bensì come leva per lo sviluppo economico o per favorire/sfavorire determinati comportamenti. Del resto, quale miglior strumento del portafoglio per invogliare determinati investimenti o scoraggiarne altri? Il fatto, purtroppo, è che tutte le cause di questo mondo hanno delle buone ragioni alla base, ma l’esito di frammentazione del “sistema” è sotto gli occhi di tutti e viene allora da chiedersi se ne valga davvero la pena: vale la pena distruggere il sistema tributario, annientarne le caratteristiche, appunto, di sistema, per andar dietro a tutte, ma proprio tutte, le buone ragioni del mondo? O non è forse meglio usare altri strumenti, diversi dai tributi, per perseguire scopi extra-tributari? Limitandoci all’IRPEF, è evidente che la platea dei suoi contribuenti sia sempre più ristretta; non parliamo poi degli abitanti degli scaglioni più elevati del prelievo: una tribù di lavoratori (presenti e passati), ché solo questi ormai pagano l’IRPEF, che con il COVID rischia di ridursi ulteriormente.

Ed è così che questi contribuenti con la C maiuscola si sentono da un lato spaesati, e dall’altro con tutto il Paese sulle spalle. Messo da parte il moto d’orgoglio di questa loro condizione privilegiata, d’altronde, osservano i vicini di casa che vivono di rendite finanziarie e immobiliari pagare la metà (della metà) delle loro imposte grazie a cedolari secche e ritenute in banca, professionisti tassati a forfait sino a 65.000 euro, sperando che davvero dichiarino il dovuto, banchieri londinesi arrivare, o tornare, in Italia con aliquote tra il 10 e il 30% delle loro, miliardari che allo stesso modo forfettizzano il prelievo sui redditi esteri con 100.000 euro e chi s’è visto s’è visto. Ultima, e sappiamo già che non lo sarà, il condono. Di quest’ultima versione del Decreto Sostegni si dirà: è una misura estrema, a fronte di carichi di fatto inesigibili, maturati tra il 2000 e il 2010 e mai riscossi, per importi tutto sommato contenuti (5.000 euro, per vero, è il tetto del singolo carico di ruolo, non del debito abbuonato) e a vantaggio di chi dichiari meno di 30.000 euro. Chi di dovere farà ovviamente gli opportuni controlli e, in effetti, ci sono tante persone ridotte in difficoltà e a rischio di marginalizzazione sociale e immersione nel nero, lavorativo e patrimoniale; ma una volta cancellata la partita, chi mai ripescherà il vecchio ruolo abbuonato e lo presenterà a chi non ne avrebbe avuto diritto? E poi, non sarebbe stato meglio ancorare il beneficio all’ISEE, piuttosto che alle dichiarazioni? E se le condizioni di questo abbuono sono di fatto limitate già si sente chi propone al Parlamento un provvedimento di ben più ampia portata, ennesima riedizione di condoni veri e propri che a parte raccogliere un po’ di cassa distruggono la fiducia dei contribuenti onesti e il senso stesso di un sistema tributario, che è quello di ripartire le spese dello Stato secondo la capacità di ognuno; i contribuenti onesti finiscono per sentirsi come il primogenito nella parabola del figliol prodigo. Il sapore è sempre quello: chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato. E chi non ha dato… Ma per lo meno si dovrebbe fare in modo che darà domani, che si prodighi in futuro. Perché è vero che Gesù disse “Se un tuo fratello pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice “mi pento”, tu gli perdonerai”, ma è anche vero che errare è umano, perseverare…

Condividi questo articolo:
Sponsor

Articoli correlati

“Il Processo” di Kafka. Da 90 anni in Italia… e non abbiamo imparato

Annalina Grasso

Dalla Turchia via libera alla legge anti-social network

Alessandro Alongi

Fisco, i sindacati stroncano la riforma

Maurizio Piccinino

Lascia un commento

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:
Usando questo form, acconsenti al trattamento dei dati ivi inseriti conformemente alla Privacy Policy de La Discussione.