Chissà se Mario Chiesa, all’udire i carabinieri al citofono del suo studio nel 1992, anziché “disfarsi” di una mazzetta di 37 milioni nel wc del bagno del Pio Albergo Trivulzio avesse potuto digitare un’app cosa sarebbe accaduto. Oppure, ancora, se invece di un puff (che, secondo le cronache, custodiva 10 miliardi di lire) o i divani di casa (che devotamente celavano ad occhi indiscreti diversi lingotti d’oro) in casa Poggiolini fosse stato presente uno smartphone chissà come sarebbe finita.
Sicuramente, in entrambi gli episodi che la storia ci riporta, erette poi a simboli di Tangentopoli, le forze dell’ordine (prima) e gli inquirenti (dopo) sarebbero rimasti a bocca asciutta.
Cambiano i tempi ma non cambia di certo la bramosia per gli sghei: le cronache degli ultimi giorni smaterializzano i gabinetti e gli arredamenti, sacrari per la custodia del denaro di illecita provenienza, a favore delle reti telematiche, e alle mille applicazioni del mondo fintech, ovvero l’insieme delle prestazioni economico-finanziarie digitali.
Poco tempo fa sia la Procura di Milano che il nucleo tributario della Guardia di Finanza hanno acceso un faro su Google (in particolare due società del colosso di Mountain view, Google Ireland e Google Payments) rea, secondo le prime risultanze investigative, di favorire il riciclaggio grazie al servizio di pagamento Google Pay, piattaforma tech in grado di garantire l’anonimato e la non tracciabilità dei capitali tramite Internet.
In particolare, nel caso di specie, una società finita sotto inchiesta per corruzione, avrebbe movimentato milioni di dollari tramite appunto Google Pay, sistema che consente di effettuare bonifici in Italia senza indicare nome del mittente e causale della transazione.
Analogamente ad Apple (che già conta 150 milioni di utenti) e a Samsung, anche Google ha cavalcato l’onda del fintech lanciando qualche anno fa Google Pay, un borsellino elettronico attraverso il quale è possibile effettuare un pagamento da uno smartphone all’altro oppure avvicinando semplicemente il proprio telefono al lettore POS di qualsiasi esercente. Niente più bonifici, carte di credito, bancomat e denaro contante, strumenti di pagamento relegati ormai in soffitta e, soprattutto, facilmente tracciabili dalle autorità giudiziarie.
Il lavoro degli inquirenti meneghini, dati questi presupposti, appare piuttosto complesso. Avendo Google tutte sedi all’estero e in più stati, infatti, saranno necessarie molte rogatorie internazionali e molto tempo ancora prima di riuscire a ricostruire i movimenti esatti del denaro. Ma una cosa, però, sin d’ora è certa: è iniziata l’era delle tangenti 2.0.