La Corte d’Assise d’appello di Roma ha pronunciato il quarto verdetto sulla morte di Marco Vannini ucciso da un colpo di arma da fuoco nel maggio del 2015 nel bagno della casa della fidanzata Martina Ciontoli a Ladispoli. Il padre della ragazza, Antonio Ciontoli, è stato condannato a 14 anni con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale essendo stato, a detta dei giudici, colui che ha sparato materialmente il colpo che ha ferito mortalmente Marco: la moglie Maria Pizzillo, e i due figli Federico e Martina, sono stati invece condannati a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario. Il riferimento è al colpevole ritardo con cui la famiglia ha allertato i soccorsi, nonostante Vannini stesse perdendo molto sangue e urlasse dal dolore, rendendo così vani i tentativi di salvargli la vita. Secondo i giudici, anziché preoccuparsi di soccorrere immediatamente Marco, la famiglia Ciontoli avrebbe indugiato per il timore delle conseguenze che avrebbe subito il capofamiglia. Il processo d’appello è stato ripetuto dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato la precedente sentenza che condannava Ciontoli per omicidio colposo. Ora la parola definitiva spetta ancora alla Cassazione, ma intanto i genitori di Marco possono affermare di aver ottenuto giustizia, soprattutto di fronte ad una morte che, con un pronto intervento, si sarebbe potuta probabilmente evitare. Abbiamo commentato la sentenza con lo psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi che ha seguito il caso molto da vicino.
Soddisfatto della sentenza?
“Assolutamente sì, soprattutto perché stabilisce che si è trattato di un omicidio volontario e non colposo e corregge una stortura che era evidente nella precedente sentenza d’appello annullata dalla Cassazione. Direi che stavolta è stata fatta giustizia”.
Lei espresse dubbi in passato sulla dinamica dei fatti. Alla luce di questa sentenza pensa ancora che la verità sia diversa?
“Il dubbio in merito alla ricostruzione dei fatti rimane ma ad ogni modo oggi, essendosi assunto l’intera responsabilità dell’omicidio e non essendo emersi riscontri oggettivi differenti da quella che è la verità di Antonio Ciontoli, prendiamo atto di ciò che la sentenza ha stabilito. Ma non avrò mai la certezza che sia stato davvero lui a sparare il colpo in quella casa e credo che non l’avrà mai nessuno. Il sospetto che possa aver coperto qualcuno sinceramente continuo a coltivarlo alla luce anche del tentativo di grossolano depistaggio messo in atto. E non dimentichi che si tratta di un uomo dei servizi segreti, quindi tutt’altro che sprovveduto”.
C’è chi pensa che le pene siano comunque lievi rispetto a come si sono svolti i fatti. È d’accordo?
“Guardi, visto come era partita tutta la vicenda e tenendo conto della sentenza precedente che sembrava quasi non punire nessuno se non con pene irrisorie, direi che è stato fatto un grande passo in avanti. Merito della mobilitazione pubblica che si è creata intorno a questo caso anche grazie alla trasmissione ‘Quarto Grado’ di Gianluigi Nuzzi che non ha mai abbassato la guardia nella ricerca della verità”.
Però potrei sollevarle l’obiezione dei legali di Ciontoli, ovvero che questa sentenza in realtà è frutto della pressione dell’opinione pubblica e quindi influenzata da condizionamenti esterni. Una vendetta più che un atto di giustizia. Come risponde?
“La giustizia è esercitata nel nome del popolo italiano e penso che in questa sentenza ci sia un perfetto bilanciamento: da un lato riscontriamo un assoluto rispetto delle norme giurisprudenziali e dall’altro il sacrosanto diritto della famiglia Vannini di veder puniti adeguatamente i responsabili della morte di Marco”.
Ieri Antonio Ciontoli in aula è tornato ad assumersi l’intera responsabilità dell’omicidio, ha chiesto perdono e ha difeso i suoi familiari sostenendo che non avrebbero alcuna colpa. Come giudica questo comportamento?
“È la strategia che Ciontoli ha adottato sin dall’inizio e che mi ha fatto sempre sospettare che si potesse nascondere da parte sua la volontà di coprire qualcun altro. Un sospetto che resterà tale”.
Cosa si sente di dire ai genitori di Vannini?
“Che giustizia è stata fatta e che è necessario non desistere mai dalla ricerca della verità. La loro tenacia è stata straordinaria. Forse altri si sarebbero scoraggiati e avrebbero smesso di lottare. I genitori di Marco non lo hanno mai fatto e oggi possono dire di aver vinto la battaglia”.
(Lo_Speciale)