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“L’Inps entra nella vita delle persone molto prima della pensione”

Diego De Felice, Direttore centrale Comunicazione, racconta l’Istituto che accompagna il cittadino lungo tutte le stagioni dell’esistenza
mercoledì, 24 Dicembre 2025
6 minuti di lettura

C’è un momento, nella vita di quasi ogni italiano, in cui il nome dell’Inps smette di essere un acronimo astratto e diventa una presenza concreta. A volte accade presto, con il primo contratto di lavoro. Altre volte arriva più tardi, quando si perde un’occupazione, si attraversa una malattia, si entra in una fase di fragilità. Più spesso ancora coincide con l’avvicinarsi della pensione. Per decenni l’Istituto nazionale della previdenza sociale è stato percepito così: come una soglia, un passaggio obbligato, un ufficio a cui rivolgersi quando la vita lo imponeva. Oggi quella immagine non basta più a raccontare ciò che l’Inps è diventato e, soprattutto, ciò che sta provando a essere.

Nel cuore delle trasformazioni che stanno attraversando il welfare italiano, l’Inps ha progressivamente assunto un ruolo che va ben oltre la previdenza. Non è un cambiamento improvviso, né un’operazione di facciata. È un processo stratificato, costruito nel tempo, che intreccia riforme legislative, innovazione tecnologica, ridefinizione organizzativa e un diverso modo di concepire il rapporto tra Stato e cittadini.

Diego De Felice, Direttore centrale Comunicazione dell’Inps
Diego De Felice, Direttore centrale Comunicazione dell’Inps

A raccontarlo, dall’interno, è Diego De Felice, Direttore centrale Comunicazione dell’Inps, osservatore privilegiato di una mutazione che riguarda non solo l’Istituto, ma l’idea stessa di protezione sociale.
“L’Inps è il pilastro del welfare in Italia”, chiarisce De Felice, richiamando una dimensione storica che pesa e orienta. “Stiamo andando verso i 127 anni di attività, e questa lunga storia ha portato l’Istituto a integrare progressivamente molti altri enti che svolgevano funzioni analoghe”. Nel tempo, l’Istituto ha assorbito competenze, archivi, persone, responsabilità. In particolare sul fronte previdenziale, il risultato è un modello fortemente accentrato. “Oggi, al netto delle casse professionali, la gestione della previdenza pubblica è sostanzialmente unitaria. È una scelta che ci distingue da molti altri Paesi europei, dove le competenze sono frammentate”.

Un unicum nel panorama internazionale

Questa concentrazione ha reso l’Inps un unicum nel panorama continentale. Ma il punto non è solo la dimensione. È la direzione. Perché accanto alla previdenza, l’Istituto ha progressivamente inglobato l’intero versante assistenziale, fino a diventare un crocevia in cui confluiscono sostegno al reddito, tutela della malattia, ammortizzatori sociali, politiche attive del lavoro. “Negli ultimi anni”, racconta De Felice, “il perimetro si è allargato ancora di più, fino a includere in modo diretto anche la disabilità”. È qui che il cambiamento diventa più visibile. Con la riforma Locatelli, avviata in forma sperimentale e destinata a entrare a regime, il riconoscimento dell’invalidità civile e l’erogazione delle prestazioni vengono ricondotti a un unico soggetto. “Si supera la doppia visita Asl-Inps”, spiega De Felice, “e si costruisce un percorso unitario, più semplice per le persone”. Una semplificazione che, però, non è neutra: comporta un investimento enorme in termini di competenze e risorse. “Stiamo completando concorsi per circa mille medici, oltre a centinaia di infermieri e psicologi. L’Inps entra stabilmente nel mondo socio-sanitario”.

Questo ingresso segna un passaggio simbolico. L’Istituto non è più soltanto l’ente che calcola e paga una prestazione economica, ma diventa parte attiva nei processi di valutazione, accompagnamento, presa in carico. “È una visione olistica del cittadino”, sintetizza De Felice. “L’idea è accompagnare la persona in tutti i momenti della vita”. Dall’ingresso nel mercato del lavoro alle fasi di transizione, dalla pensione alle condizioni di fragilità legate all’età o alla disabilità.

Non solo welfare difensivo

In questa prospettiva il welfare non è più soltanto una rete di protezione che interviene quando qualcosa va storto. Diventa un sistema che prova ad anticipare, orientare, sostenere. “Per molto tempo”, osserva De Felice, “abbiamo avuto un welfare difensivo: servizi erogati solo su domanda”. Oggi l’obiettivo è diverso. “Classificare l’utenza, leggere i bisogni, prospettare i servizi a cui una persona ha diritto, anche quando quel diritto non viene esplicitamente richiesto”. È il cuore di quello che lʼInps definisce welfare generativo. La tecnologia è uno strumento chiave in questa trasformazione. Non come fine, ma come mezzo per personalizzare e rendere tempestive le risposte. “Parliamo di anziani, giovani, persone con disabilità, cittadini senza reddito”, elenca De Felice. “Non possono essere trattati tutti allo stesso modo”. I dati consentono di costruire percorsi differenziati, di intercettare situazioni di rischio, di ridurre i tempi. Ma la tecnologia, da sola, non basta.

Modelli di prossimità

Con circa 50 milioni di utenti, l’Inps deve confrontarsi con un Paese segnato da profondi divari territoriali e digitali. “La presenza fisica resta fondamentale”, insiste De Felice. “La presenza dell’Inps è un messaggio di sicurezza sociale”. Le sedi sul territorio non sono solo uffici: sono presìdi. “Dopo i Carabinieri, probabilmente siamo l’ente più vicino ai cittadini”, osserva. Da qui la scelta di rafforzare i modelli di prossimità, soprattutto nelle aree interne. Accordi con i Comuni, sportelli decentrati, personale formato, consulenze da remoto: il welfare prova a raggiungere chi è più lontano. “L’idea”, spiega De Felice, “è che anche nel piccolo paese si possa accedere a una consulenza Inps senza sobbarcarsi costi di viaggio o stress”. Un modello ibrido, in cui il digitale non sostituisce la relazione, ma la integra.

All’interno dell’Istituto, la trasformazione passa anche dalle persone. Dopo anni di blocco dei concorsi, l’Inps ha avviato un massiccio ricambio generazionale. Migliaia di giovani laureati sono entrati in un’organizzazione che conta circa 25mila dipendenti, un numero contenuto se confrontato con enti analoghi in Germania o Francia. “La sfida”, racconta De Felice, “è mettere in connessione l’esperienza delle persone più mature con le competenze digitali delle nuove generazioni”. Ma non è solo una questione di skill. “Serve empatia”, sottolinea. “I nostri servizi incidono sulla vita delle persone in momenti delicati. Ansia, aspettative, fragilità: tutto questo entra ogni giorno negli uffici Inps”.

Comunicazione strategica

In questo contesto la comunicazione assume un ruolo strategico. Non più semplice diffusione di informazioni, ma ascolto, dialogo, accompagnamento. “La comunicazione riflette il cambiamento dell’Inps”, spiega De Felice. “Non basta dire cosa facciamo. Bisogna spiegare, rendere comprensibili i provvedimenti, intercettare i bisogni”. L’Istituto misura la soddisfazione degli utenti, analizza il sentiment online, utilizza i social come canali di relazione. “Spesso le criticità emergono prima sui social che nei canali formali”, racconta. “Questo ha un impatto diretto anche sulla gestione”. WhatsApp, LinkedIn, Instagram, Facebook: l’Inps è presente sulle principali piattaforme, con linguaggi differenziati. “Su LinkedIn parliamo a un pubblico più professionale, su Instagram intercettiamo i giovani, su Facebook le famiglie”. Non è solo comunicazione esterna. È un modo per costruire fiducia, ridurre la distanza, rendere l’Istituto riconoscibile.

Inps per i giovani

Da qui nasce anche l’attenzione crescente verso le nuove generazioni. Con il progetto ‘Inps per i giovani’ l’Istituto prova a parlare a chi è lontano dalla pensione, ma vicino alle incertezze del futuro. Educazione previdenziale nelle scuole, linguaggi semplici, servizi organizzati per profili. “Il sistema contributivo è come un salvadanaio”, ricorda De Felice. “Prima lo capisci, più sei in grado di orientare le tue scelte”. L’obiettivo è offrire punti di riferimento in un contesto informativo spesso caotico, segnato da un sovraccarico di messaggi. Il tema demografico attraversa tutto questo discorso. L’Italia invecchia, nascono sempre meno bambini, il rapporto tra attivi e pensionati si assottiglia. “Il problema non è solo l’invecchiamento”, riflette De Felice, “ma il combinato disposto con la denatalità”. Da una parte si allungano le carriere lavorative, anche in forma volontaria. Dall’altra diventa cruciale aumentare l’occupazione, soprattutto femminile e giovanile. “I giovani che non studiano e non lavorano sono circa un milione e mezzo. È un problema sociale ed economico”.

In questo quadro l’Inps non può creare lavoro, ma può facilitare l’incontro tra domanda e offerta. Strumenti come la piattaforma SIISL, sviluppata insieme al Ministero del Lavoro, vanno in questa direzione. “Dallo smartphone si può accedere alle opportunità presenti sul territorio”, spiega De Felice, “con sistemi che utilizzano anche l’Intelligenza Artificiale per valutare l’affinità tra competenze e posizioni aperte”. È un modo per ridurre la disoccupazione frizionale e rafforzare le politiche attive.

Patrimonio culturale

Accanto a tutto questo, c’è un capitolo meno noto, ma carico di significato simbolico: il patrimonio culturale. Nel corso dei decenni, anche grazie all’assorbimento di altri enti, l’Inps ha accumulato opere d’arte, palazzi storici, sedi di grande valore architettonico come Palazzo Piacentini a Milano, Palazzo Pazzi a Firenze, Palazzo Wedekind a Roma. “È un patrimonio che appartiene ai cittadini”, sottolinea De Felice. “E come tale va restituito”. Mostre, pubblicazioni, iniziative di valorizzazione: anche questo contribuisce a raccontare un’Istituzione che vuole essere trasparente, riconoscibile, parte integrante della vita del Paese.

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