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Aborto, l’Europa rompe il silenzio

Il Parlamento europeo approva la richiesta dei cittadini per riconoscerlo come diritto, aprendo un confronto politico destinato a durare
giovedì, 18 Dicembre 2025
3 minuti di lettura

Nell’emiciclo del Parlamento Europeo, ieri, non si è votata una legge. Eppure, la sensazione diffusa tra i banchi è stata quella di aver assistito a un passaggio destinato a pesare a lungo nel dibattito politico europeo. Con 358 voti favorevoli, 202 contrari e 79 astensioni, i deputati hanno approvato un testo ispirato all’iniziativa dei cittadini “My Voice, My Choice: per un aborto sicuro e accessibile”, che sostiene la richiesta di riconoscere l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza come un diritto da tutelare sull’intero territorio dell’Unione. Un atto non vincolante sul piano giuridico, ma tutt’altro che neutro sul piano politico.

Una mobilitazione dal basso che ha raccolto oltre un milione di firme in diversi Paesi dell’Unione, superando una soglia che raramente viene raggiunta, oltre 1,1 milioni di firme raccolte e verificate. È proprio questo elemento a rendere la giornata di ieri qualcosa di più di una semplice presa di posizione parlamentare. Perché quando un’iniziativa dei cittadini arriva fino all’aula di Strasburgo, il tema non è più solo oggetto di dibattito: diventa una questione che le istituzioni europee sono obbligate ad affrontare.

L’Iniziativa dei Cittadini Europei, introdotta con il Trattato di Lisbona ed entrata in funzione nel 2012, è uno strumento tanto potente quanto poco conosciuto. Non consente ai cittadini di scrivere direttamente le leggi, ma impone alla Commissione Europea di ascoltare, valutare e rispondere pubblicamente. È una forma di pressione democratica che non promette scorciatoie, ma rompe l’inerzia. Perché una Iniziativa dei Cittadini Europei sia presa in considerazione, è necessario raccogliere almeno un milione di firme validamente certificate provenienti da almeno sette diversi Stati membri. Una barriera non banale, che in tredici anni di vita dell’istituto è stata superata solo da pochissime iniziative. Una volta validate le firme e verificata la competenza dell’Unione sul tema, la Commissione è tenuta a prendere posizione, spiegando se e come intende intervenire. Ed è proprio questo passaggio che ora si apre.

La risoluzione approvata dal Parlamento chiede alla Commissione di tradurre quella richiesta popolare in iniziative concrete. Non si parla di imporre un modello unico agli Stati membri, la materia resta formalmente di competenza nazionale, ma di affrontare una realtà che in Europa è tutt’altro che uniforme. In alcuni Paesi l’aborto è accessibile e garantito, in altri è fortemente limitato o di fatto impraticabile. Il risultato è una geografia dei diritti diseguale, che costringe molte donne a spostarsi oltre confine per ottenere cure sicure.

Il testo votato invita esplicitamente a rimuovere ostacoli legali e pratici che impediscono l’accesso all’aborto e propone la creazione di un meccanismo europeo di solidarietà, capace di sostenere economicamente chi vive in contesti restrittivi. È su questo punto che si concentra una parte rilevante dello scontro politico. Per i sostenitori, si tratta di una risposta pragmatica a una disuguaglianza evidente. Per i critici, è un tentativo di aggirare le competenze nazionali attraverso strumenti finanziari e pressioni politiche.

In aula, la frattura è stata netta. I gruppi progressisti hanno salutato il voto come un’affermazione di diritti fondamentali, parlando di salute, autodeterminazione e dignità. Dall’altra parte, le forze conservatrici ed euroscettiche hanno denunciato un’ingerenza ideologica dell’Unione in ambiti che toccano la sovranità degli Stati e le convinzioni etiche più profonde delle società europee. Una polarizzazione che riflette, in modo quasi speculare, quella che attraversa molti Paesi membri.

Eppure, al di là delle contrapposizioni, il voto di ieri segna un punto fermo: per la prima volta con questa chiarezza, il Parlamento Europeo ha riconosciuto che la questione dell’aborto non può più essere considerata solo una somma di legislazioni nazionali, ma un tema che interroga l’Unione sul senso stesso di uguaglianza tra i suoi cittadini. Non è una norma, ma è una dichiarazione politica che pesa.

Ora la responsabilità passa alla Commissione Europea. Entro i prossimi mesi dovrà decidere se proporre strumenti legislativi, misure di sostegno o limitarsi a un atto politico di indirizzo. Qualunque sarà la scelta, dovrà essere motivata pubblicamente, alla luce di una mobilitazione civica senza precedenti e di un Parlamento che ha scelto di esporsi.

È in questo spazio, tra diritto e politica, che si gioca la vera partita aperta ieri a Strasburgo. Non tanto sul “se” l’Europa possa legiferare sull’aborto, quanto su che tipo di Unione intenda essere: una comunità che prende atto delle proprie fratture interne, o una che prova, anche simbolicamente, a ridurle.

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