Pur essendo ancora prematuro trarre conclusioni definitive, i primi dati disponibili indicano che l’introduzione dei dazi voluta dall’Amministrazione Trump non ha avuto, finora, effetti negativi sulle esportazioni italiane. Le nostre vendite all’estero non hanno subito contraccolpi né verso gli Stati Uniti né verso gli altri mercati internazionali. Anzi, considerando anche le tensioni geopolitiche e le difficoltà che attraversano il commercio mondiale, l’Italia ha mostrato una sorprendente capacità di tenuta.
Nel terzo trimestre di quest’anno, infatti, il nostro Paese è balzato al quarto posto tra i membri del G20 per esportazioni di merci, raggiungendo un valore vicino ai 190 miliardi di dollari. Secondo i dati Ocse, dopo aver superato il Giappone (184 miliardi), l’Italia è ora preceduta soltanto da Cina (944,6 miliardi), Stati Uniti (547,8) e Germania (453,8).
A segnalarlo è stato l’Ufficio studi della Cgia, che evidenzia come, dopo la flessione del 2024 sul 2023 (-3,3 miliardi di euro, pari a -0,5 per cento), nei primi nove mesi del 2025 l’export italiano nel mondo sia tornato a crescere, registrando un incremento di 16,6 miliardi di euro (+3,6 per cento). Particolarmente significativo è l’andamento delle esportazioni verso il mercato statunitense. Dopo la contrazione registrata nel 2024 rispetto al 2023 (-2,2 miliardi di euro, pari a -3,3 per cento), nei primi nove mesi di quest’anno l’export negli Usa è tornato a salire con decisione: +4,3 miliardi di euro (+9 per cento), passando da 48,1 a 52,4 miliardi di euro.
Una prima interpretazione di questo risultato rimandava a un possibile “anticipo” degli acquisti da parte di famiglie e imprese americane, avvenuto prima dell’entrata in vigore dell’aumento delle tariffe doganali nell’estate scorsa. Tale ipotesi sembrava trovare conferma nel forte calo registrato ad agosto (-21,6 per cento su base annua). Ma il dato di settembre ha ribaltato questa lettura: le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono infatti cresciute del 34,7 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, smentendo l’idea di un crollo strutturale dovuto ai dazi.
Qualità e strategie d’impresa tengono testa ai dazi
In attesa di disporre di un orizzonte temporale più lungo per un’analisi meno congiunturale, è possibile ipotizzare che la tenuta, e in alcuni casi la crescita, dell’export italiano negli States sia legata a una combinazione di fattori. Da un lato, i consumatori statunitensi hanno continuato ad acquistare prodotti italiani nonostante l’aumento dei prezzi: il 92 per cento delle merci italiane esportate negli Usa appartiene infatti a una fascia qualitativa medio-alta, difficilmente sostituibile con beni di pari livello.
Dall’altro, molte imprese italiane potrebbero aver difeso o persino ampliato le proprie quote di mercato riducendo i margini di profitto, così da compensare l’impatto delle tariffe doganali sul prezzo finale. A complicare il quadro si aggiunge anche un fattore congiunturale non trascurabile: dall’inizio dell’anno il dollaro si è svalutato del 12 per cento rispetto all’euro.
Nonostante ciò, nei primi nove mesi del 2025 le vendite italiane negli Stati Uniti sono aumentate del 9 per cento, un risultato che appare dunque ancora più significativo. Dazi, crisi internazionali e indebolimento del dollaro non hanno fermato l’export italiano. Resta comunque la cautela: le politiche protezionistiche statunitensi potrebbero produrre effetti più rilevanti nel medio-lungo periodo, sia diretti (mancate esportazioni) sia indiretti (riduzione dei margini, delocalizzazioni, trade diversion).
Analizzando i primi 50 gruppi di prodotti esportati – che rappresentano il 90 per cento del totale – emergono andamenti molto differenziati. Nei primi nove mesi del 2025 spiccano le forti crescite delle navi e imbarcazioni (+51,6 per cento), dei medicinali e preparati farmaceutici (+37,6), dei metalli preziosi (+32,4) e degli aeromobili (+25,5). In calo, invece, la gioielleria (-14,7 per cento), i prodotti della raffinazione del petrolio (-13,6) e le automobili (-10 per cento).
Province protagoniste sui mercati esteri
A livello territoriale, il dinamismo dell’export si riflette anche nei dati provinciali. Nei primi tre trimestri dell’anno si segnalano incrementi eccezionali per Palermo (+160,6 per cento), Vibo Valentia (+151,2), Sud Sardegna (+129,5) e Trieste (+118,7). In difficoltà, invece, Caltanissetta (-24,2 per cento), Isernia (-27,3) e Crotone (-28,1 per cento). Guardando esclusivamente al mercato statunitense, il caso più eclatante è quello di Trieste, dove l’export verso gli Usa è cresciuto del 1.080 per cento, passando da circa 107 milioni di euro nei primi nove mesi del 2024 a quasi 1,3 miliardi nello stesso periodo del 2025, trainato dalla produzione di navi e imbarcazioni.
Seguono Enna (+582,4 per cento) e Vibo Valentia (+434,5 per cento), entrambe spinte soprattutto dall’agroalimentare. La provincia più ‘proiettata’ verso gli Stati Uniti resta però Firenze, che tra gennaio e settembre ha esportato negli Stati Uniti beni per 5,7 miliardi di euro (+30 per cento), con un ruolo centrale dei medicinali e dei preparati farmaceutici.



