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Le Langhe, la mia geografia sentimentale

mercoledì, 26 Novembre 2025
2 minuti di lettura

C’è un appuntamento dell’anno che non tradisco mai: novembre nelle Langhe.
Un rito, più che un weekend. Ogni volta che torno, mi sembra di rientrare in una parentesi sospesa del Piemonte—quella in cui i colli respirano lentamente, il vino scalda la voce, e l’aria profuma di terra umida e tartufo appena affiorato.

Da quando l’amicizia con Sandra Vezza è diventata una certezza della mia vita, questo pellegrinaggio autunnale ha assunto un significato ancora più speciale. Sandra è una forza magnetica, una donna che il suo territorio non solo lo ama: lo celebra. E un po’, ogni anno, lo celebriamo anche noi.

La tradizione è intoccabile: si comincia da ForteMasso, la nostra cantina.
Il pranzo—rigorosamente cucinato da Maurilio, lo chef leggendario della Ciau del Tornavento—arriva scandito come un rito laico. L’uovo in cocotte nello scrigno? Una liturgia. È uno di quei piatti che non puoi semplicemente mangiare: devi ascoltarlo.

Ogni anno ci diciamo che forse potremmo cambiare menù. Ogni anno non cambiamo niente.

Tra un sorso di Barolo e l’altro, ci lasciamo avvolgere dal silenzio gentile delle vigne, quelle stesse vigne che nel 2014 l’UNESCO ha consacrato patrimonio dell’umanità.
E giustamente: qui l’uomo ha modellato il paesaggio con un rispetto raro, antico, quasi religioso.
Dopo pranzo si passeggia. Sempre. Le colline, a novembre, hanno quella tonalità bruciata che sembra fatta apposta per farsi camminare dentro. Poi ci spostiamo ad Alba, alla Fiera del Tartufo, e ci divertiamo a scegliere il nostro tesoro profumato. Il trifolao, con quella competenza austera di chi convive con la terra da una vita, ti racconta varietà, consistenze, stagioni… e alla fine capisci che il tartufo non si compra: si adotta.

I primi anni facevamo anche la “caccia al tartufo”.
Oggi lasciamo che la poesia la creino gli esperti, mentre noi ce la godiamo.

Il mio paese del cuore, però, resta Monforte d’Alba.
Un borgo così ben conservato da sembrare un set, con le sue case antiche, le pietre consunte e quei vicoli che si stringono come se avessero qualcosa da confessare. Da Felicin, la nostra tappa fissa, ogni tanto mi lasciano perfino ordinare un’insalata senza sgranare gli occhi: un atto di tolleranza che merita menzione.
Il panorama da Monforte è qualcosa che ti si incastra nella memoria: castelli, colline, e—nelle giornate limpide—le Alpicome un sipario finale.

I weekend nelle Langhe hanno un tempo tutto loro: si mangia, ci si pente, si riposa, si sta insieme.
Questa volta eravamo in tanti: i miei amici, gli amici di mio figlio Carlo—una piccola impresa diplomatica riuscita. Non capita spesso di trovare un luogo che vada bene per tutti, ma le Langhe hanno il dono di mettere tutti d’accordo.
Persino Lorenzo Lorenzotti, ogni anno, prende un aereo da New York solo per esserci. E non è l’unico.

All’Astemia, la cantina di Sandra e Charley Vezza, la sera si trasforma.
Ci sono incontri culturali, presentazioni di libri, chiacchiere che diventano confronti seri, e poi si cena con i mitici plin di Vittoria, che tornano puntuali come le stagioni.
Questa volta l’ospite era Alessandro Cecchi Paone. Abbiamo parlato di libertà.
Che è un concetto flessibile, fragile, diverso per ciascuno.
Che può essere politico, intellettuale, fisico, emotivo.
E che a volte coincide semplicemente con il potersi ritagliare spazio per respirare.
Io la mia libertà l’ho riconosciuta lì, seduta a un tavolo pieno di persone che amo, circondata da colline che sembravano la curva gentile di un pensiero felice.

La libertà, per me, vive qui.
Tra un bicchiere di Barolo, un tartufo appena scelto e il tempo lento di chi non ha nulla da dimostrare.

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