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Ornella Vanoni

L’Italia che sognava, l’Italia che realizzava

Si parla troppo del Ventennio fascista così lontano e trascorso ma si tralasciano gli anni di democrazia e sviluppo. Della politica Dc, dei suoi leader e di un Paese che sapeva essere inclusivo e vincere le sfide della crescita
domenica, 23 Novembre 2025
2 minuti di lettura

L’ondata di affetto verso i grandi artisti scomparsi da Ornella Vanoni alle gemelle Kessler, da Pippo Baudo a Claudia Cardinale, segna il ricordo di una straordinaria Nazione che negli anni ’60-‘70 era una protagonista internazionale per i risultati raggiunti in ogni campo sociale ed economico

C’è un filo invisibile che collega le emozioni di questi giorni al Paese che eravamo. La notizia della scomparsa di figure amatissime – da Ornella Vanoni alle gemelle Kessler, da icone dello spettacolo come Pippo Baudo a protagoniste del cinema come Claudia Cardinale – ha generato un’ondata di sincera commozione che va ben oltre il normale tributo agli artisti. Quell’emozione collettiva racconta altro: racconta un’Italia che, attraverso quei volti, riconosce e rimpiange una parte luminosa di sé.

Non è soltanto l’arte a commuoverci, ma ciò che quelle vite artistiche rappresentano: un’epoca in cui il Paese sognava e realizzava, in cui la politica immaginava il futuro e la società lo costruiva.

Il periodo d’oro per l’Italia

Gli anni ’50, ‘60, ’70 e poi gli ’80 furono più di una stagione culturale: furono un laboratorio civile, sociale e democratico, il momento in cui l’Italia decise di diventare moderna e ci riuscì davvero.

È in quel clima che prese forma la scintilla creativa di generazioni di artisti: Fellini, Antonioni, Leone, Morricone, Comencini, De Filippo, De Chirico, Montale, e una moltitudine di altri giganti. Non nacquero dal nulla: l’eccellenza artistica italiana sbocciò perché esisteva un humus fertile, fatto di partecipazione sociale, crescita economica, curiosità e ingegno, rafforzamento democratico e una diffusa fiducia collettiva nel futuro.

La politica come visione e realizzazione

La politica, allora, non era semplicemente gestione dell’esistente: era visione. Dalla stagione inaugurata da Alcide De Gasperi ai governi di Centro e Centrosinistra, la Democrazia Cristiana seppe interpretare – pur con limiti e contraddizioni – una missione che oggi sembra quasi utopica: guidare uno sviluppo che fosse insieme economico, sociale e culturale. La cultura non era un orpello, era una leva. Non era un settore, era un sentimento pubblico.

Grazie a quel contesto l’Italia divenne protagonista nel mondo: nel cinema, nella musica, nel teatro, ma anche nell’industria e nei servizi. Erano gli anni delle grandi infrastrutture, della siderurgia che trainava, della chimica che sperimentava, delle autostrade che univano, della sanità pubblica che si consolidava, dell’università che si apriva a una nuova generazione di studenti. Era l’Italia che voleva crescere e ci riusciva, perché la società partecipava e la politica ascoltava, dialogava, media, costruiva.

Parlare di più del Paese che realizzava

Eppure, di quei quarant’anni in cui il Paese fu un riferimento internazionale si parla sorprendentemente poco. La memoria collettiva preferisce spesso tornare, in modo quasi ossessivo, alle epoche più cupe – il fascismo, il ventennio – anziché interrogarsi sulla stagione in cui gli italiani dimostrarono a se stessi e al mondo di poter essere protagonisti della modernità senza scorciatoie, con dedizione, sacrificio e coraggio.

Competenza e responsabilità

Ricordare gli anni Sessanta e Settanta non significa cedere alla nostalgia: significa recuperare la consapevolezza che un’Italia capace di sognare e di realizzare è esistita. Significa capire che quel modello – fatto di pensiero, competenza, responsabilità e spirito di iniziativa – può tornare ad essere una risorsa per il presente.

Un omaggio a quei protagonisti per dare fiducia al nostro futuro

Nel salutare figure come Ornella Vanoni, le Kessler e gli altri protagonisti di un’epoca irripetibile, non stiamo soltanto rendendo omaggio a grandi artisti. Stiamo, forse inconsciamente, salutando una parte di noi: quella più generosa, più creativa, più fiduciosa nel domani. Quell’Italia che cresceva e che faceva crescere.

Oggi più che mai dovremmo recuperare quello spirito. Non per replicare un passato che non può tornare identico, ma per ritrovare l’energia morale e la volontà collettiva che lo resero possibile. È tempo di tornare a sognare, e soprattutto di tornare a realizzare. Perché un Paese che smette di credere nel futuro smette di essere una comunità.

Rendere omaggio a Ornella Vanoni e a ciò che ha rappresentato significa, in fondo, rendere omaggio all’Italia che potremmo tornare a essere.

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