Ieri il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha esaminato la bozza di risoluzione statunitense che contiene il piano Trump in venti punti per il futuro della Striscia. Una proposta che Washington presenta come base per una stabilizzazione duratura, ma che incontra resistenze profonde tanto nella regione quanto sul piano diplomatico. L’iniziativa arriva mentre gli Stati Uniti tentano di esercitare pressioni dirette sui dossier più delicati, incluso quello dei miliziani di Hamas ancora nascosti nei tunnel. Secondo l’emittente israeliana Kan, un centinaio di miliziani di Hamas è barricato in un tunnel di Rafah e ha dichiarato che non si arrenderà. Gli Stati Uniti, attraverso l’inviato Steve Witkoff e con un messaggio trasmesso da Jared Kushner, starebbero cercando di forzare una soluzione negoziale. Israele teme che la questione dei combattenti nei tunnel diventi un nuovo blocco alla stabilità della tregua. In questo quadro, Israele ha ribadito categoricamente che non accetterà mai la nascita di uno Stato palestinese. Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha escluso categoricamente qualsiasi riconoscimento di uno Stato palestinese, definendolo un “futuro Stato terrorista di Hamas”.
Sul terreno, Gaza e Cisgiordania
Sul terreno intanto il cessate il fuoco resta fragile. Le autorità sanitarie di Gaza hanno riferito che il numero delle vittime è salito a 266 dall’entrata in vigore della tregua del 10 ottobre. Solo nelle ultime 72 ore sono stati recuperati 15 corpi dalle macerie e si contano ancora vittime non raggiungibili per le difficili condizioni dei soccorsi. Il totale dei morti dall’inizio della guerra del 7 ottobre 2023 ha raggiunto quota 69.483, con oltre 170.000 feriti. Ieri Israele ha riaperto i valichi di Kerem Shalom e Al Awja, consentendo l’ingresso di 110 camion di aiuti provenienti dall’Egitto, inclusi macchinari da scavo destinati alla ricerca dei corpi degli ostaggi israeliani. Sul lato egiziano di Rafah restano pronte oltre 5.500 tonnellate di aiuti.Parallelamente, le forze israeliane hanno demolito l’avamposto illegale di Tzur Misgavi, vicino a Efrat, dopo gravi episodi di violenza attribuiti ai residenti. Circa 25 famiglie vivevano nell’insediamento, ora raso al suolo con l’intervento dei bulldozer sotto il coordinamento dell’Amministrazione Civile.
Berlino revoca l’embargo
Sul fronte diplomatico europeo, la Germania ha annunciato la revoca del divieto all’export di armamenti verso Israele a partire dal 24 novembre. Una scelta accolta con favore da Sa’ar, che ha invitato gli altri governi europei a seguire l’esempio. Berlino aveva introdotto le restrizioni ad agosto per timori legati all’impiego di quelle armi nella Striscia. Sempre sul piano delle relazioni con gli esteri, il presidente israeliano Isaac Herzog ha invece ringraziato l’ex ministro Ron Dermer per il ruolo svolto nella liberazione degli ostaggi durante la fase più intensa dei negoziati. Ma intanto, cresce l’attenzione su movimenti sospetti: il Sudafrica ha denunciato come “un piano per espellere i palestinesi” l’arrivo nel Paese di 153 cittadini palestinesi senza timbri di uscita da Israele.
Tensioni regionali: Libano, Iraq, Iran
Nel sud del Libano, l’Idf ha comunicato l’eliminazione di Muhammad Ali Shoueish, figura di collegamento tra Hezbollah e residenti locali. Secondo Israele, le sue attività violavano gli accordi di sicurezza. In Iraq, il Pkk ha annunciato il ritiro dalla valle del fiume Zap per evitare incidenti durante la fase di dialogo con Ankara. Un gesto definito come un “contributo significativo” al processo di pace. A Teheran, il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha ribadito che l’Iran continuerà a sostenere Hezbollah, giudicando necessario un fronte più coeso contro Israele e denunciando l’“unilateralismo” di Washington.



