Il Cile tornerà alle urne il prossimo 14 dicembre per decidere il nuovo presidente. Al primo turno delle elezioni presidenziali, nessun candidato ha raggiunto la maggioranza assoluta, aprendo la strada a un ballottaggio tra due figure agli antipodi: Jeannette Jara, ministra del Lavoro uscente e candidata del Partito Comunista, e José Antonio Kast, avvocato ultraconservatore del Partito Repubblicano, nostalgico dichiarato della dittatura di Pinochet. Jara ha ottenuto il 26,45% dei voti, mentre Kast l’ha seguita da vicino con il 24,46%. Il terzo classificato, il populista Franco Parisi, ha sorpreso con un solido 18,6%, superando i candidati della destra tradizionale e dell’estrema destra più radicale. Proprio il sostegno degli elettori di Parisi e degli altri candidati conservatori potrebbe rivelarsi decisivo per Kast, che secondo molti analisti parte favorito nella seconda tornata. Il voto ha segnato una netta polarizzazione del Paese, con la sinistra che domina nella regione metropolitana di Santiago e il sud del Cile che si orienta verso Kast. La campagna elettorale è stata dominata dai temi della sicurezza, dell’immigrazione e delle disuguaglianze sociali, in un contesto segnato da forti tensioni economiche e da un processo costituente ancora in corso. Per la prima volta dal ritorno alla democrazia, il ballottaggio vedrà contrapposti una candidata comunista e un esponente dell’estrema destra. Un duello che riflette la crescente frammentazione del panorama politico cileno e che potrebbe ridefinire gli equilibri istituzionali del Paese. Il 14 dicembre, i cileni saranno chiamati a scegliere tra due visioni radicalmente diverse del futuro. E il risultato potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini nazionali.



