La presenza della USS Gerald R. Ford, la più grande portaerei della Marina statunitense, nelle acque internazionali al largo del Venezuela ha scatenato una nuova ondata di tensione tra Washington e Caracas. Il presidente Nicolás Maduro ha risposto con la mobilitazione di oltre 200.000 uomini, tra forze armate regolari e milizie bolivariane, definendo la mossa americana “una provocazione imperiale senza precedenti”. Secondo il Pentagono, la portaerei è impegnata in “esercitazioni navali multilaterali” con alleati regionali, ma il governo venezuelano accusa gli Stati Uniti di “intimidazione militare” e di voler destabilizzare il Paese in un momento di delicati equilibri interni. “Non ci faremo piegare. Difenderemo ogni centimetro del nostro territorio, mare incluso,” ha dichiarato Maduro in un discorso televisivo, circondato dai vertici delle forze armate. La USS Ford, lunga oltre 330 metri e dotata di un sistema di lancio elettromagnetico di ultima generazione, è accompagnata da un gruppo d’attacco composto da cacciatorpediniere e sottomarini. La sua presenza a poche miglia nautiche dalla costa venezuelana è vista da molti analisti come un segnale diretto a Caracas, ma anche a Mosca e Pechino, che negli ultimi anni hanno rafforzato i legami militari con il regime bolivariano. Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riunirà in sessione straordinaria per discutere l’escalation. Brasile e Colombia hanno espresso “profonda preoccupazione” per la militarizzazione della regione, mentre Cuba e Nicaragua hanno espresso pieno sostegno a Maduro. La crisi si inserisce in un contesto già teso, con il Venezuela alle prese con sanzioni internazionali, elezioni contestate e un’economia in profonda recessione. Ma per Maduro, la minaccia esterna è anche un’occasione per ricompattare il fronte interno e rilanciare la retorica antiamericana.



