Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite getta una luce ancora più cupa sulla guerra russa in Ucraina. La Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta, nominata dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ha documentato in modo dettagliato una campagna di violenze sistematiche e coordinate contro la popolazione civile. L’indagine, condotta attraverso centinaia di interviste e l’analisi di numerosi filmati e prove digitali, descrive un quadro agghiacciante: la Russia ha trasformato l’uso dei droni in uno strumento di terrore, colpendo deliberatamente cittadini, infrastrutture e aree residenziali nelle regioni di Dnipro, Kherson e Mykolaiv.
Il rapporto parla chiaro: gli operatori di droni militari russi selezionano e inseguono obiettivi civili in tempo reale, utilizzando telecamere ad alta risoluzione che consentono di distinguere con precisione chi si sta colpendo. Non ci sono errori, non ci sono bersagli “collaterali”. C’è piuttosto una strategia mirata, lucida, spietata. Gli investigatori dell’ONU la definiscono un “clima di terrore permanente”. Da luglio 2024, almeno duecento persone sono state uccise e migliaia ferite in questi attacchi, che hanno svuotato intere comunità. In alcune zone del Sud, i villaggi sono oggi quasi completamente deserti.
La crudeltà non si ferma ai civili inermi. I droni hanno preso di mira anche ambulanze, vigili del fuoco e squadre di soccorso accorse dopo i bombardamenti, in violazione palese del diritto internazionale umanitario. Gli abitanti parlano di sentirsi “braccati”, e il termine che circola tra le vittime — “safari umano” — racconta più di qualsiasi analisi politica: una caccia agli uomini, condotta con freddezza e filmata con orgoglio. Perché sì, molti di questi video vengono pubblicati online dalle stesse unità militari russe o da gruppi a esse affiliati, accompagnati da commenti sprezzanti e minacce, quasi a voler trasformare l’orrore in propaganda.
Il rapporto dell’ONU va oltre la semplice denuncia dei crimini. Mostra una strategia coerente: la volontà del Cremlino di rendere inabitabili intere regioni ucraine, costringendo i civili alla fuga e alimentando nuove ondate di profughi. Una tattica di spopolamento e destabilizzazione, volta a minare la resistenza ucraina dall’interno e a logorare il tessuto sociale del Paese. Parallelamente, la Russia prosegue la sua campagna nazionale di bombardamenti contro infrastrutture essenziali — centrali elettriche, impianti idrici, sistemi di riscaldamento — per piegare la popolazione al freddo e alla paura, soprattutto con l’arrivo dell’inverno. È la prosecuzione, con altri mezzi, di una guerra totale contro la sopravvivenza quotidiana.
Dall’inizio del 2025 gli attacchi missilistici e con droni hanno colpito ospedali, scuole, aree residenziali, persino luoghi di culto. Gli episodi di Sumy e Kryvyi Rih — un missile balistico lanciato durante la Domenica delle Palme e il bombardamento di un parco giochi — sono solo due esempi tra i tanti. Le vittime civili nei primi nove mesi di quest’anno sono aumentate del 31% rispetto al 2024.
Già a marzo, un’altra indagine delle Nazioni Unite aveva concluso che la Russia è responsabile di crimini contro l’umanità nei territori occupati: detenzioni arbitrarie, torture, deportazioni di massa. “Una politica statale coordinata”, scrivevano allora gli esperti, che oggi trovano conferma e continuità in questa nuova ondata di violenze.
Il Cremlino continua a negare tutto, ripetendo la retorica di sempre: che l’esercito russo non colpisce obiettivi civili. Ma la mole di prove raccolte dagli investigatori ONU smentisce ogni parola. L’uso di droni per colpire, filmare e diffondere la morte in diretta rappresenta un salto di qualità nel disprezzo per la vita umana e per le regole del diritto internazionale.
L’ONU definisce questa campagna un crimine contro l’umanità. Ed è difficile non leggere in questa definizione una condanna non solo delle azioni militari, ma dell’intera logica che le sostiene. Colpire i civili per indebolire uno Stato significa voler distruggere una nazione, la sua dignità, la sua memoria. In Ucraina, oggi, la guerra non è solo una questione di territori: è la negazione stessa dell’umanità.
La decisione di Putin di trasformare il Sud dell’Ucraina in un “safari umano” segna una delle pagine più oscure della storia recente. E ricorda al mondo che la difesa del diritto internazionale non è una formula diplomatica, ma una necessità morale. Perché ogni volta che la comunità internazionale chiude gli occhi davanti a un crimine di guerra, autorizza il prossimo.



