Ieri notte, con la ratifica a maggioranza del governo israeliano (contrari i ministri dell’ultradestra), è scattato il cessate il fuoco nella Striscia previsto dall’intesa siglata giovedì al Cairo. L’accordo apre una finestra di 72 ore al termine del ripiegamento militare israeliano: entro quel termine Hamas dovrà consegnare tutti i 48 ostaggi ancora nelle sue mani, di cui circa 20 ritenuti vivi. In cambio, Israele rilascerà 1.950 detenuti palestinesi – inclusi 250 ergastolani – e trasferirà nella Striscia i corpi di 360 miliziani. Restano esclusi, fra gli altri, Marwan Barghouti e Ahmad Saadat. L’Idf ha iniziato a riposizionarsi sulle linee concordate, mantenendo il controllo di circa il 53% del territorio di Gaza.
Il ritiro, accompagnato da misure di copertura, dovrebbe concludersi nelle prossime ore. Sono già segnalati i primi rientri di sfollati nelle aree a est di Khan Younis da cui le truppe si sono ritirate, mentre restano vietati gli spostamenti verso il nord, dove sono ancora presenti presidi israeliani. Per monitorare e implementare l’intesa viene istituito in Israele un Centro di Coordinamento Civile-Militare (CMCC) a guida dello US Central Command: fino a 200 militari statunitensi costituiranno il nucleo della struttura, affiancati da ufficiali di Egitto, Qatar, Turchia e probabilmente Emirati. La task force dovrà facilitare flussi di aiuti, logistica e sicurezza a Gaza. Nessun militare USA entrerà nell’enclave; il coordinamento sarà con le forze israeliane e partner regionali.
Hamas: “Nessuna scusa per tornare alla guerra”
Dal fronte opposto, il portavoce Hazem Qassem ha assicurato che il movimento sta monitorando il ritiro “in conformità all’accordo” e che i palestinesi “non daranno alcuna scusa a Israele per riaccendere il conflitto”. Sul terreno, tuttavia, nelle ore successive all’entrata in vigore della tregua media locali hanno riferito esplosioni e colpi d’artiglieria su Gaza City e attacchi aerei nell’area di Khan Younis: episodi che alimentano la fragilità del cessate il fuoco.
La diplomazia: Trump in Medio Oriente, Meloni invitata
Donald Trump ha rivendicato il risultato come il suo più importante colpo di politica estera e ha annunciato una visita lampo in Israele per intervenire alla Knesset e partecipare alla cerimonia ufficiale della firma, prevista per lunedì. La premier Giorgia Meloni è stata invitata a prendere parte all’evento: per il vicepremier Antonio Tajani la presenza italiana “testimonierà un ruolo da protagonista nella costruzione della pace”. A Parigi, intanto, i ministri degli Esteri occidentali e arabi hanno discusso la cornice postbellica; Emmanuel Macron ha avvertito che l’accelerazione delle colonie in Cisgiordania “minaccia la soluzione a due Stati” e contrasta con il piano americano.
Rafah, riparte la missione Eubam con personale italiano
Sul versante umanitario, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha autorizzato la ripresa delle attività italiane nell’ambito della missione Eubam Rafah: il valico sarà riaperto dal 14 ottobre in coordinamento UE-Egitto-Israele, con transito alternato in uscita verso l’Egitto e in entrata verso Gaza. Dalla rete dei valichi interni è previsto l’afflusso quotidiano di circa 600 camion di aiuti. Da domenica partiranno parallelamente le operazioni di scambio: rilascio degli ostaggi israeliani e liberazione dei detenuti palestinesi.
Nodi aperti e incognite
Resta delicata la gestione delle liste dei prigionieri: l’ultimo minuto ha visto l’inserimento di undici nuovi nomi e l’esclusione di figure simboliche del terrorismo, così come il veto sul rimpatrio in Cisgiordania (previsti rientri solo a Gaza o espulsioni all’estero, con possibili destinazioni Turchia e Qatar). Sul dossier ostaggi, Trump ha avvertito che il recupero dei corpi dei 28 presunti deceduti potrebbe essere “difficile”. Domenica riprenderà la distribuzione degli aiuti nella Striscia.
Fase 2: “Il giorno dopo”
Alle 13 (le 12 in Italia) di ieri il premier Benjamin Netanyahu ha aperto il tavolo sulla fase 2 del piano americano – il “day after” – che comprende disarmo di Hamas, smilitarizzazione della Striscia e una forza interaraba di stabilizzazione. Presenti gli inviati USA Steve Witkoff e Jared Kushner e il comandante del Centcom, ammiraglio Brad Cooper. Netanyahu, che ha confermato la distinzione fra i 20 ostaggi vivi e i 28 ritenuti deceduti, ha ribadito che l’esercito resterà “fino al completo disarmo di Hamas: se non avverrà nel modo più facile, avverrà nel modo più difficile”.