Sempre più italiani arrivano al lavoro già stanchi, stressati e disillusi. Secondo l’HR Trends 2025 ‘Il benessere mentale come priorità per il lavoro del futuro’, ricerca condotta da Randstad Professional Leaders Search & Selection in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia ‘Agostino Gemelli’ dell’Università Cattolica, il 31% dei lavoratori si sente spesso esausto fin dal mattino, la stessa percentuale si dichiara “emotivamente esaurita” a causa del lavoro e il 28% vive uno stato di stress o ansia eccessiva. Uno su cinque presenta tutti questi sintomi insieme, segnalando un rischio elevato di burnout.
Oltre al malessere emotivo, emergono anche segnali di scarso coinvolgimento: solo il 25% dei dipendenti si percepisce parte di un gruppo di lavoro aperto, il 20% si sente realmente compreso e accettato e altrettanti ritengono di avere controllo sul proprio futuro professionale. Un quadro che fa emergere una richiesta chiara: 7 lavoratori su 10 chiedono che le aziende si impegnino di più per la salute mentale, non solo in ambito lavorativo ma anche personale.
Il gap tra richieste dei lavoratori e risposte aziendali
Il tema è sotto la lente delle direzioni HR, ma la risposta è ancora insufficiente. Se il 77% delle aziende dichiara di occuparsene, meno della metà (45%) ha messo in campo progetti concreti di benessere mentale. Eppure, dove questi interventi sono stati attivati, i benefici sono evidenti: +88% senso di appartenenza, +85% qualità del lavoro e produttività, +81% fidelizzazione e immagine aziendale.
Le iniziative spaziano dai programmi di welfare al supporto psicologico, dalla sensibilizzazione alla formazione, passando per palestre aziendali, menù salutari, orari flessibili, smart working, riconoscimenti economici, attività di team building ed eventi di aggregazione. Per molti HR, il benessere organizzativo è la premessa di quello mentale.
L’Intelligenza Artificiale tra aiuto e timori
Un ruolo crescente lo gioca anche l’intelligenza artificiale: nel 60% delle aziende in cui è stata introdotta, ha avuto effetti positivi, alleggerendo attività ripetitive e stressanti e offrendo assistenza immediata tramite chatbot e strumenti digitali. Ma un terzo dei lavoratori segnala un impatto negativo, con timori legati alla perdita di senso di utilità, all’incertezza sul futuro e a una formazione percepita come insufficiente.
Un dato significativo è la domanda di formazione sul benessere mentale, desiderata dall’86% dei lavoratori ma sottostimata dalle aziende. Oggi il 64% delle direzioni HR dichiara di voler aumentare gli investimenti in questo ambito, includendo attività “sociali” volte a migliorare la conoscenza reciproca, rafforzare la motivazione e creare ambienti di lavoro più positivi.
“Il benessere mentale è ormai centrale per ogni azienda – spiega Pia Sgualdino, Head of Randstad Professional Leaders Search & Selection Italia –. Attivare progetti in questo ambito ha ricadute positive sulla qualità del lavoro, la motivazione e la fidelizzazione. Ma nessuno strumento è sufficiente da solo: serve un’organizzazione capace di promuovere il wellbeing in modo complessivo, rispettando autonomia e riservatezza dei lavoratori”.
“Il benessere mentale, le relazioni e la formazione sono elementi cruciali – aggiunge Caterina Gozzoli, docente di Psicologia della convivenza socio-organizzativa all’Università Cattolica –. Ma la ricerca mostra uno scollamento tra ciò che le aziende dichiarano e ciò che i lavoratori percepiscono. L’intelligenza artificiale può aiutare, ma va accompagnata da percorsi formativi e da una strategia chiara e condivisa”.