In Italia sono depositati presso il Cnel oltre 1.000 contratti collettivi nazionali di lavoro, ma solo una parte è firmata da organizzazioni realmente rappresentative. Nei settori del terziario e del turismo, in particolare, si contano più di 250 contratti, ma la stragrande maggioranza dei lavoratori è coperta da pochi ccnl, tra cui quello del Terziario, Distribuzione e Servizi di Confcommercio, il più applicato del Paese con circa 2,5 milioni di addetti. Confcommercio lancia l’allarme sul proliferare dei cosiddetti “contratti pirata”, stipulati da sigle minori spesso prive di reale rappresentatività, che creano dumping salariale e concorrenza sleale. I contratti pirata sono oltre 200 e coinvolgono circa 160 mila dipendenti e oltre 21 mila aziende, con una diffusione crescente soprattutto tra microimprese e cooperative. Particolarmente colpiti sono i settori del terziario e del turismo, comparti strategici per l’economia italiana, e le aree più deboli del Paese, in particolare il Mezzogiorno. Tra i contratti più rilevanti per numero di addetti figurano gli accordi Anpit H024 e H05K, con rispettivamente 56.743 e 35.870 dipendenti, e il contratto Cnai H019, che interessa 15.174 lavoratori.
Questi contratti offrono condizioni sensibilmente peggiori rispetto ai Ccnl principali. I lavoratori possono percepire fino a 8 mila euro lordi annui in meno rispetto al contratto Confcommercio, hanno indennità per malattia e infortunio ridotte al 20–25% rispetto al 100% previsto, meno ferie, permessi e scatti di anzianità, indennità ridotte o assenti, orari più lunghi e maggiore flessibilità senza garanzie. Inoltre, mancano spesso strumenti di welfare fondamentali come sanità integrativa e previdenza complementare. Il risultato è un abbassamento complessivo della qualità del lavoro e una competizione basata sul costo, non sull’innovazione o sulla produttività.
Un vuoto normativo tutto italiano
Il sistema italiano sconta l’assenza di una misurazione certa della rappresentatività e di un meccanismo che estenda i contratti a tutti i lavoratori di un settore. In Germania la Tarifautonomie è bilanciata da criteri giuridici e da meccanismi di estensione erga omnes; in Francia i contratti sono validi solo se firmati da sindacati che rappresentano almeno il 50% dei lavoratori e possono essere resi obbligatori con decreto ministeriale. Questo riduce gli spazi per la concorrenza al ribasso, al contrario di quanto avviene in Italia, dove la frammentazione contrattuale è diventata strutturale. Confcommercio propone interventi strutturali per contrastare il dumping contrattuale. Tra questi: rafforzare il criterio del contratto più protettivo nella valutazione dell’equivalenza contrattuale, introdurre un sistema di misurazione certificata della rappresentatività, delimitare i perimetri contrattuali in modo chiaro, potenziare i controlli con un indice di qualità contrattuale, rendere obbligatorio il codice unico del CCNL in tutte le banche dati pubbliche e valorizzare la bilateralità come strumento di certificazione della qualità contrattuale.
“Guardiamo con forte preoccupazione al dumping contrattuale, un fenomeno che mina la concorrenza, svaluta il lavoro e crea disparità tra imprese e lavoratori”, le parole del Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. “Chiediamo al governo un impegno concreto per impedire l’applicazione di contratti sottocosto, rafforzare la collaborazione con i sindacati e garantire regole certe. Solo così possiamo tutelare il lavoro e rendere competitivo il sistema Paese”.